30/10/08

Impossibile trovare un argentino contrario a Diego


Ventidue anni sono passati da quella storica finale, ventiquattro da quella presunta, ipotizzata, sperata di Sudafrica 2010, traguardo primario della nuova era albiceleste. Ricordi per nulla sbiaditi dal tempo, Inghilterra prima, Germania poi, la mano de Dios ad esaltare il genio e quel gol così perfetto da annientare la storia precedente e quella successiva. Una mano quantomai opportuna chiesta da Julio Grondona, presidente dell'Afa, in uno dei momenti di maggiore disaffezione del popolo argentino verso l'amata seleccion a Diego Armando Maradona. Un'operazione di marketing calcistico mai più tempestiva per ricreare (sebbene informalmente) con Carlos Bilardo la coppia mundial e quel clima che permise all'Argentina, di salire, per l'ultima volta in cima al mondo a Messico '86.Un espediente che, forse, getta consapevolmente fumo negli occhi, perché i tempi sono cambiati e l'uno, il "tecnico mundial" ci sarà ma nelle esclusive e inconsuete vesti di manager, mentre l'altro, el Pibe che fu, preso a tenaglia in un mix insostenibile di impegni di beneficenza, meeting pseudo-politici, qualche apparizione in video e capatine dagli amici di una volta, una vera e propria esperienza in panchina non ce l'ha affatto. Poche partite alla guida di Mandiyù e Racing e il vuoto successivo lo collocano decisamente nella categoria dei tecnici inesperti, s'intenda non per questo incapaci. Innegabili le sue qualità di leadership, il suo carisma contagioso, adombrante, considerato, probabilmente, dal (poco-molto?) lungimirante Grondona l'arma vincente per ricompattare le fila in campo e fuori e, soprattutto, per convincere la gente che questa sia la mossa giusta.Impossibile trovare un argentino che si opponga a una scelta che, alla lunga, potrebbe portare a due soli risultati: boomerang dolorosissimo oppure clamoroso e positivo colpo di scena. L'ardua sentenza, come si è soliti dire, spetterà soltanto a un campo che, inevitabilmente, questa volta e, se sarà, per il futuro, si restringerà fino a rimpicciolirsi a quell'area tecnica senza spazio e senza porte che sa tanto di prigionia a guardia del genio non più da esprimere su un rettangolo verde, bensì da trasmettere ai vari Riquelme, Aguero, Tevez o Messi, non certo a ragazzini di primo pelo pronti all'obbedienza assoluta. Compito tutt'altro che semplice, sfida affascinante, scommessa da prendere o lasciare.

28/10/08

Figli di Sacchi con la panchina nel Dna

Il più contento di tutti, probabilmente, sarà Arrigo Sacchi, l'ultimo grande pioniere del calcio in grado di proporre una rottura con il passato, rimpastando tattiche e schemi, promuovendo metodologie innovative, al tempo, lontane dalla logica del calcio nazionale fatto di marcature a uomo e contropiede. In seguito, il mago di Fusignano fu ricordato per la rivoluzione che portò, finalmente, anche il calcio italiano a guardare con favore a quello totale proposto in Olanda, solido fondamento del modello "New Age". Oltre all'innovazione di modulo e di mentalità, il merito del vate romagnolo è quello di aver sfornato un manipolo di allenatori più o meno vincenti, senz'altro capaci. L'ultimo della serie è Alessandro Costacurta, cresciuto all'ombra di Filippo Galli e Franco Baresi in campo, poi divenuto colonna portante della retroguardia difensiva del Milan degli Invincibili, finito in panchina come chi, da Sacchi prima e da Capello poi ha appreso tanto, forse non ancora tutto.Perché, come in tutti i mestieri, la pratica affina l'ingegno, l'esperienza le capacità di chi deve svolgere un lavoro perennemente sotto pressione. Ruud Gullit ha resistito per un po', al Chelsea, con decisamente minore gloria rispetto a quella avuta da calciatore. Infinitamente maggiori fortune ha coltivato, in un recente passato, Frank Rijkaard, transitato dalla delusione alla guida della sua Olanda per la sconfitta agli Europei del 2000 in semifinale contro l'Italia in casa, alla gioia già provata da calciatore, in diverse occasioni, di alzare la Coppa dei Campioni, questa volta al timone del Barcellona nel 2006. Con gli 'orange', per chiudere il quadro dei tulipani volanti, Marco Van Basten ha fatto la sua prima esperienza: tante illusioni legate al gioco spumeggiante e poi la cruda realtà dell'eliminazione dall'ultimo europeo per mano della Russia. Roberto Donadoni che in campo, di Sacchi, applicava alla lettera tutte le indicazioni, ha ottenuto positivi riscontri, salvo poi incespicare in un ruolo, quello di ct, che non portò particolare fortuna neanche al Gran Maestro. Il più vincente di tutti, infine, è stato Carlo Ancelotti che ha ottenuto tanti successi tornando a casa, a Milanello, dopo le parentesi di Parma e Torino, sponda bianconera. Tutti figli calcistici della "rivoluzione sacchiana" anche chi, come Van Basten, all’epoca, non condivise i progetti del tecnico romagnolo ma che al buon, vecchio innovatore devono una carriera assicurata, almeno fino all'avvento del prossimo messia pallonaro pronto a rompere gli schemi precostituiti e a predicare un verbo calcistico ancora sconosciuto.

Un colpo di fulmine, la Juve Ama...uri


Un gol sotto la Mole per certificare il suo stato di juventino doc. Causa necessaria e, per una volta, anche sufficiente per entrare in maniera netta, definita e definitiva nel cuore dei tifosi bianconeri. Carvalo de Olivera Amauri è stato l'uomo più decisivo dell'ottavo turno di campionato. Match winner contro il Torino ha sigillato, dopo la vittoria sul Real, la rinascita juventina assurgendo a ruolo di leader, sostituendo, solo in termini di gol, un Del Piero, questa volta, rimasto a secco. Rientrate le polemiche sulla campagna acquisti intrapresa dalla società, Amauri è stato il grande colpo del mercato estivo, più decisivo di Ronaldinho, più efficace di Mancini, Quaresma o Julio Baptista. 8 gare e 5 gol confermano la sua maturità sottoporta finalmente mostrata con continuità a partire dalle due stagioni a Palermo, intravista soltanto ai tempi del Chievo, e latitante nelle precedenti esperienze con Parma, Napoli, Piacenza, Empoli e Messina. Tante maglie e pochi gol, fino al biennio siciliano che ha sancito l'inversione di tendenza: la speranza, della Juve soprattutto, degli avversari un po' meno, e che, in futuro, la maglia sia unica e, per rispettare la proporzione inversa, i gol siano sempre di più. In questo caso per indorare la pillola, il passaporto italiano potrà rendere più sopportabili i gol messi a segno nell'altrui porte: beninteso, purché Lippi batta Dunga sul tempo e Amauri abbandoni quell'accento sulla ì che lo renderebbe, sportivamente parlando, meno straniero in territorio amico

24/10/08

Ibra-cadabra, niente illusioni solo magie


Non ha il cilindro e nemmeno la bacchetta ma due piedi magici che non illudono, segnano e incantano. Senza dubbio è stato Zlatan Ibrahimovic il personaggio più decisivo della settima giornata di serie A. A valorizzarne la prestazione anche l'avversario, la Roma, per nulla semplice da affrontare alla vigilia, sin troppo facile da impallinare con il senno di poi. La realtà è che Ibra è tornato se stesso, migliorato, se si vuole, rispetto ai tempi della Juve e ai primi due anni con Mancini. E' leader e fa reparto da solo, trascina i compagni e ciò che conta, soprattutto, va in gol con una semplicità disarmante. Cinque reti in sette partite di campionato e pensare che il ginocchio malandrino avrebbe dovuto tenerlo a riposo, per qualche gara, anche quest'anno. Nossignori, Mourinho gli ha consegnato lo scettro concedendo un'anomalia alla sua decantata 'res publica', per la quale, ma tranne per lo svedese, vale il motto: tutti utili nessuno indispensabile. L'Inter, ancora più dell'Ajax che lo ha fatto conoscere al grande calcio, e della Juve che lo ha consacrato in Italia e in Europa, non può prescindere dai suoi colpi di classe. Coi lancieri Ibra segnò ben 46 gol, ma in 106 gare, in bianconero 26 in 91. Proporzioni che non reggono il confronto con il campione che da due anni e 7 partite ammirano i tifosi nerazzurri: 80 apparizioni, 42 reti. I numeri, è vero, parlano meno del suo talento che ha ormai automatizzato un ritornello ricorrente: Ibracadabra o AbracadIbra, fate voi, la magia è comunque servita.

23/10/08

Pini: ''Io calciatrice del Bayern grido, forza Fiorentina!''


Un accento che tradisce una fede che esula dalla professione. Carolina Pini, cuore viola e maglia del Bayern Monaco nella Bundesliga femminile, sentimenti contrastanti e ultime ore da vivere neanche troppo in bilico. Inossidabile l'amore per la Fiorentina e la presenza all'Allianz Arena assicurata. Peccato che debba assistere al big match di Champions League dalla parte opposta alla rappresentanza gigliata, in curva sì ma coi suoi amici-nemici bavaresi: tappi alle orecchie e rigorosa maglia viola sotto la felpa che la riparerà da una serata fredda, riscaldata dal turbinio di emozioni che vivrà.E sì perché Carolina da due anni è un centrocampista del Bayern dopo aver vestito le maglie di ACF Firenze e Agliana. Un'opportunità guadagnata sul campo dopo le difficoltà legate a un infortunio che poteva compromettere la chance di giocare in uno dei campionati di calcio femminili più competitivi d'Europa. La carriera prosegue a gonfie vele, ma per una sera, la Germania, il suo club, dovrà capire le ragioni del cuore. "Il mio tifo sarà assolutamente tutto per la Fiorentina - ha spiegato a SKY.IT - Purtroppo mi toccherà seguire la gara in curva con i bavaresi. Farò finta di non sentirli e metterò la maglia viola sotto una felpa''. La stessa cosa non farà Luca Toni che del Bayern è il centravanti: ''Lui è molto legato a Firenze, secondo me se segnerà non esulterà - ha detto ancora la Pini - Da tifosa dico che è una fortuna che non stia benissimo perché lui è sempre molto pericoloso. E poi per una volta si accontenterà di non segnare. I gol arriveranno un'altra volta". Questo l'auspicio e la speranza resta quella di vedere una Fiorentina sulla falsariga delle ultime partite: "Adesso la squadra di Prandelli sta giocando bene - ha detto - Anche se io stravedo per Pazzini non posso non ammettere che Gilardino sia stato un grande acquisto, ma i nuovi devono ancora integrarsi al meglio. Jovetic è molto bravo". Da buona toscana una stilettata a Mutu è d'obbligo: "Mi ha dato fastidio che abbia cominciato a parlare di contratto dagli Europei - ha spiegato in maniera colorita - O ciccio abbassa la cresta, non accettiamo queste cose. Ora dovrà riguadagnarsi la fiducia di tutti". L'occasione giusta potrebbe essere proprio la gara contro il Bayern, una partita che, oggi, vale più di un derby. Nessun pronostico, però, vige l'obbligo di una scaramanzia da rispettare a tutti i costi anche se è facile prevedere cosa passa nella mente di Carolina: "Basta dire che si spera di uscire dallo stadio col sorriso''. E sì perché poi in Germania, a Monaco, si deve pur sempre restare e non ci sarebbe soddisfazione migliore.

Maradona Jr: "Al River il calcio che fa per me"


Stessi sapori, medesimi odori, gente ospitale, di cuore diremmo in Italia. Napoli-Buenos Aires tanti chilometri e nel mezzo un oceano di speranze, di vita e calcistiche. Diego Armando Maradona Junior se le culla entrambe dopo essere stato per la prima volta in Argentina, perché non si sente un 'gringo', ma semplicemente 'pibe' e non necessariamente 'de oro'. Tanta la voglia di ricongiungersi con alcuni degli affetti più cari, pronta a incontrarsi con il desiderio della sorella Giana e a scontrarsi con un divieto che fa male, troppo, di avvicinarsi a chi non ha potuto mai sentire, nemmeno al telefono. Al rientro a Napoli, il bagaglio di Diego è pesante, nella valigia tante emozioni contrastanti e la certezza di tornare per provare a vestire la casacca del River Plate, squadra argentina del cuore, e rientrare, un giorno, in Italia, da calciatore maturo. Il viaggio lungo, l'attesa logorante è stata ripagata: "C'è stata la grande emozione di aver conosciuto mia sorella - ha spiegato Diego Junior a Sky.it - E poi la bellezza di vedere un posto fantastico come l'Argentina e Buenos Aires che un po' assomiglia a Napoli, per il mare e per la gente". Iniezioni di felicità presto contrapposte al muro, inspiegabile, eretto da qualcuno che ha impedito a Maradonino di avvicinarsi, tra gli altri, a Dalma e Giannina: "Mi è stato vietato", questo l'amaro commento.Tristezza che ha lasciato spazio ancora a un sorriso, quello che sa regalare un pallone al piede e il piccolo sogno di vestire la maglia de 'Los milionarios' condita dalla possibilità reale di calcare, in futuro, l'erba del 'Monumental': "Sono stato contattato per degli allenamenti - ha spiegato ancora - Tra un mese sarò di nuovo con loro per continuare questa esperienza. Sono tornato perché devo sistemare un ginocchio malandato, ma la possibilità di giocare nel River è reale". Quattro chiacchiere con Diego Simeone, il tecnico della prima squadra, per commentare la qualità del calcio albiceleste: "Abbiamo parlato della partita che avevano disputato contro il Gimnasia - ha detto Diego Junior - Il calcio argentino non è per nulla semplice come dicono, è un po' più lento, ma più tecnico e meno tattico, in Italia c'è sempre qualche pregiudizio sui campionati esteri, ma qui è dura fare il calciatore di serie A, forse anche più che da noi". Qui dove i tecnici non lo hanno considerato per quello che Maradonino è, lasciando sempre spazio ad accostamenti improponibili e a valutazioni fondate su un erroneo metro di giudizio: "Mi hanno chiuso le porte sempre per la stessa storia ed io, francamente, sono stanco di sentirla". E allora la possibilità River è un'occasione ghiotta per tornare in patria da vincitore: "Anche se io mi sento un po' argentino a tal punto che sto chiedendo la doppia nazionalità - questa la rivelazione - Credo di aver trovato un calcio che si addice alle mie caratteristiche, le possibilità di indossare il biancorosso sono alte". Quella maglia del River che, con 'Maradona Jr 10' stampato sulle spalle, ha lasciato spazio a facili speculazioni di chi vuole, ad ogni costo, alimentare la polemica: "Non m'interessa ciò che pensa l'opinione pubblica - ha ribadito - La scelta del River e non del Boca (il club di Diego Senior ndr) come squadra favorita non è un gesto di sfida nei confronti di nessuno, è dettata dal cuore". Dalla passione per un club e per una città che potrebbero diventare la sua seconda casa, per nulla diversa dalla prima, ma con possibilità infinitamente maggiori di successo.

22/10/08

Guidolin nella morsa dei mangiallenatori


Non la stessa media, né per numero di allenatori esonerati avvicinabile a Maurizio Zamparini o a Massimo Cellino. Tommaso Ghirardi all'apparenza, tra i presidenti di A e B, sembrerebbe quello meno avvezzo a sortite del genere. Un mix tra 'ciccio bello' e 'pinotto' che ispira quasi tenerezza. Una figura pulita in un calcio in cui i bilanci vanno ponderati almeno per le piccole squadre, concetto che, però, sembra non reggere in tema di esoneri. Figura più reale che mitologica, il "mangiallenatori", troverebbe posto addirittura in un ipotetico inferno dantesco del pallone, pronto ad apparire sotto mentite spoglie 'sollevando la bocca dal fiero pasto'. Ora Gaucci, poi Cellino, per finire a Zamparini che di allenatori se n'è 'pappati' più di tutti, ben 27 tra Venezia e Palermo in una onoratissima e lunga carriera destinata a proseguire, sulla stessa falsariga? Chissà.Fatto sta che il buon (chiedere a Pioli, Di Carlo, Cuper e Cagni se tale), Ghirardi è caduto nell'impazienza tipica dei suoi predecessori. Se è vero, da un lato, che la squadra allestita avrebbe dovuto garantire altri risultati per la B, vero è che siamo ancora agli inizi di un campionato che, notoriamente, si decide alla lunga e nel quale conta una costanza di rendimento e di equilibrio di spogliatoio. L'esonero di Cagni fa cadere il patron gialloblù in una recidiva moltiplicata per sette (tanti sono i tecnici alternatisi sulla panchina emiliana in poco più di due anni), che non scansa responsabilità delle quali, gli va dato atto, Ghirardi si è fatto sempre carico.La decisione è legittima, ci mancherebbe, la scelta del nuovo tecnico fa sorridere e non per le indiscutibili qualità di Francesco Guidolin a cui, se vogliamo, la categoria starebbe anche stretta se non fosse per un progetto così ambizioso. L'ironia, non della sorte, ma della scelta sta tutta lì: dal 'mangiallenatori' per antonomasia all'apprendista, ma la vittima, scongiuri ammessi e doverosi, non cambia mai?

Grazzini il predestinato, dalla Sestrese al Newell’s


Frastuono, 30 mila persone, la maglia rossonera che sembra un sogno, non svegliarti ti prego!!! La voce che risuona nella testa come spesso accade a chi si vuole gustare fino in fondo la propria realtà onirica. Il 'Negro' Gamboa si avvicina, "Seba scaldati", non ci credi, il momento è arrivato, il desiderio di una vita, Rosario, 'El Coloso del Parque', la serie A argentina. Le gambe sono paralizzate dall'emozione, allora capisci che sei sveglio, il momento della verità è giunto, dentro o fuori, ci siamo. E' il pensiero di Sebastian Grazzini, professione fantasista, che ha coronato il suo sogno di 'Pibe', il ragazzo di Rosario (come Messi) che esordisce con la maglia della squadra del cuore a 27 anni in serie A dopo tanto peregrinare tra Venezuela, Belgio e Italia. Cresciuto nelle giovanili del River Plate, differentemente dai grandi campioni che hanno lasciato la patria per raggiungere il successo oltreoceano, 'Seba' , nel suo personalissimo ‘strano percorso’ uguale e contrario, ha conosciuto la gloria proprio lì, a casa, e ora si gode il momento dopo tanti sacrifici divisi tra Deportivo Italchacao, Excelsior Virton e Sestrese, addirittura, entro i nostri confini. L'esordio contro l'Independiente nella gara vinta dal Newell's per 1-0 (gol di Fabbiani, ex Cluj ndr) e la sfida ai ‘campeones’ del Boca sono state solo il preambolo di una stagione che sembra una favola dei fratelli Grimm da raccontare ai nipotini e, dunque, da gustarsi fino in fondo, perché qui, in Italia, forse, ci siamo davvero persi qualcosa…

Allora Seba, finalmente ce l'hai fatta, l'esordio è arrivato, quali le sensazioni dominanti?
“Sono molto felice, è come se Dio mi avesse detto: ‘questa è la tua opportunità, vai e non sprecarla’. Sono sicuro che ciò che mi sta succedendo è un dono che viene dall’alto, è tutto fantastico, sono a casa (a Rosario ndr) e gioco nella mia squadra del cuore. Da ragazzino ero dall’altra parte, uno della curva e ora sono qui a onorare la maglia del club della mia città. Ho sofferto tanto per arrivare fino a questo punto”.
La tua storia è molto particolare, tanto girovagare per il mondo in squadre 'minori', poi all'improvviso la serie A, ci racconti com'è nata questa opportunità?
“Devo molto al mio amico Pelanda che mi ha sempre detto che io avevo le qualità per giocare in serie A. Lui è famoso in Argentina e conosceva l’allenatore del Newell’s a cui ha fatto vedere una mia clip. Mi hanno chiamato per conoscermi dal vivo. Sono bastati 25 minuti per convincere il tecnico. Il presidente ha aspettato un po’ prima di offrirmi il contratto perché ero un giocatore poco conosciuto, al Newell’s si aspettavano grandi nomi e poi, invece, ho firmato un accordo di un anno con opzione sui prossimi tre. E’ ciò che ho sognato per tutta la vita e si è realizzato adesso”.

Eppure l'inizio non è stato semplice. Arrivi come nuovo acquisto, i tifosi si aspettavano grandi nomi, poi le difficoltà legate al transfer, le partite con la squadra riserve, come l'hai vissuta?
“Sono rimasto calmo ed ho cercato di dimostrare sul campo il mio valore. Ci sono riuscito, ho guadagnato la fiducia di Gamboa, l’esordio contro l’Independiente e un altro spezzone di gara contro il Boca Juniors nella partita di giovedì”.
Trenta minuti per l'esordio, altrettanti con gli ‘Xeneises’ cosa hai pensato quando Gamboa ha detto di scaldarti?
Tutti, compresa la mia famiglia credeva che avrei avuto un po’ di difficoltà. D’altronde passare nel giro di tre mesi da giocare di fronte a 300 persone a 30.000 non è poca roba. Stranamente io non ho sentito la tensione che normalmente in occasioni del genere ti blocca le gambe, anzi, ho provato altre sensazioni. Sapevo di dover sfruttare al massimo questa opportunità ed ero tranquillissimo”.
Dopo le prime due presenze in campionato dove vuole arrivare Grazzini?
“Spero di poter conquistare un posto stabile in squadra, credo che forse l’opportunità ci sarà già nella prossima gara, ma meglio non sbilanciarsi troppo”.
Magari titolare nel derby con il Rosario Central con un gol?
“Beh, in realtà spero di essere titolare prima visto che con il Rosario giocheremo un po’ più in la. Allo stesso modo spero di segnare non il primo ma certamente un gol nel derby, sarebbe il massimo per me, tifoso del Newell’s, siglare la rete del successo. Non potrei chiedere di più”.
Torneresti in Italia o adesso vuoi giocarti le tue chance in Argentina?
“Per il momento cerco di fare bene con questa maglia. L’Italia è un pensiero che circola nella mia testa. Ho giocato due anni nella Sestrese e lì sono stato benissimo. A tal proposito vorrei ringraziare il tecnico Manzano e il direttore sportivo Panico che mi hanno trattato come un figlio. Però in Italia vorrei tornare per giocare in A o in B, Samp o Genoa non sarebbero male…”
Che differenze ci sono tra il calcio italiano e quello argentino?
“Molte. In Italia si dà grande importanza alla tattica e il gioco è meno faticoso dal punto di vista atletico. In Argentina gli spazi sono più larghi, si pressa e si corre tantissimo”.
Il primo desiderio lo hai realizzato il prossimo sogno è la nazionale, o è presto per parlarne?
“La Seleccion è l’obiettivo di tutti i giocatori, per il momento mi accontento di quello che ho, ma sognare non costa nulla vero…?”
Che vuol dire per te giocare con la maglia del Newell's una squadra in cui hanno militato gente del calibro di Maradona, Batistuta, Sensini, Heinze, Solari ecc...?
“Per me è un onore, quando penso di vestire questa maglia spero soltanto di fare bene così un giorno potrò essere ricordato. Questa sarebbe una grande cosa: la gente potrà dire di Grazzini che ha lasciato il segno con la maglia del Newell’s”.
Cosa vuoi dire a chi non ha creduto prima, negli anni passati, in te?
“Non voglio dire niente, doveva andare così. Quando ero ragazzo ho commesso degli errori compreso quello di lasciare il calcio e dedicarmi alla musica. E’ stato Lito Isabela a convincermi a tornare in campo. Mi ha detto: ‘I soldi che guadagni con la chitarra te li do io se ritorni a giocare al calcio’. Grazie a lui sono arrivato in Europa, all’Excelsior Virton (serie B belga ndr) e ho cominciato a fare esperienze importanti. Tutto il percorso che ho fatto mi è servito per crescere, forse prima non ero pronto per la serie A, forse avrei potuto esordire prima, ma adesso l’ho fatto e sono contento, va bene così”.
Sei argentino e la rabona è un inconfondibile marchio di fabbrica, eppure per caratteristiche tecniche assomigli più a Kakà che a Riquelme o Messi. Tu a chi ti sei ispirato da sempre?
“Si è vero la rabona la faccio spesso ma in serie A non ancora mi è capitato, ma la proporrò al momento giusto, quando servirà. Secondo il mio parere, come tipo di gioco, mi sento più vicino a Insua, ma in realtà non voglio assomigliare a nessuno, preferisco essere me stesso”.
Tanti ragazzi, oggi, non credono ai sogni, tu cosa gli vuoi dire?
“Che non bisogna smettere mai di sognare nella vita. Le cose non capitano per caso, sono il frutto dei sacrifici e la mia storia è un esempio. Io ho sofferto, sono stato a lungo lontano da casa, ma poi il destino mi ha premiato. Ho cercato di imparare e lo faccio anche adesso dai più bravi, proprio l’altro giorno ho giocato contro Riquelme e Battaglia, li guardavo e assimilavo. Non ho mai smesso di credere che ce l’avrei fatta”.A realizzare il desiderio della vita, a non dimenticare da dove si arriva, a guardare sempre più in là del possibile.