29/11/07

SFIGA FENOMENALE

Lo aspettava chi non lo aveva visto in azione a Cagliari, il battesimo europeo sarebbe stato il certificato di avvenuta guarigione e nuovo pass per un futuro possibilmente ricco di soddisfazioni. Con il senno di poi, alla delusione e forse, a qualche vaffa... di troppo scagliato contro la malasorte, vien quasi da sorridere. Infauste le scalette della panchina del "Da Luz", maledetto quel polpaccio malandrino che ha giocato un nuovo e brutto, bruttissimo, scherzo a Ronaldo. Nulla da fare, esordio in Champions rimandato con la paura che, adesso, anche la super sfida contro la Juventus possa saltare. Insomma, Ronie non è come Sansone ed anche con i capelli ha perso la forza: i suoi muscoli sono delicati, per carità è sempre stato così, ma gli anni passano ed allora bisogna gestirsi al meglio. Per quanto si possa dire, considerando tutte le illazioni sul peso, legittime, è ovvio considerare una buona dose di sfortuna in tutto questo. In 90' a Cagliari non è successo niente in 5' fuori dal campo a Lisbona di tutto. Ronie si è riaccomodato mestamente in panchina con quel polpaccio imbiancato di chissà quale elisir guaritore, non è bastato per la gara col Benfica, al Milan sperano basti per quella con la Juve. Ronie avrebbe voluto mostrare a Capello, in tribuna, la bontà del suo gioco, d'altronde l'ex tecnico del Real aveva chiesto al Fenomeno le sue condizioni... Niente scongiuri, ma chissà cosa avrà pensato ieri Ronaldo.

28/11/07

NOVE MESI DOPO....UGUALE

Nove mesi per riflettere, nove mesi, è il caso di dirlo, per partorire una decisione che tutti si aspettavano e che, forse, qualcuno non auspicava. 270 giorni dopo la tragedia che colpì l'ispettore di polizia Filippo Raciti il mondo non è cambiato, diciamo per trasparenza e onestà, modificato, incattivito, almeno quello che aleggia attorno al calcio giocato. E dunque, non poteva che essere, la chiusura del settore ospiti per la sfida Catania-Palermo di domenica prossima, la decisione per alcuni più saggia, per chi scrive troppo semplicistica. Perché l'Italia del tifo ha bisogno di un segnale forte e il derby siciliano avrebbe avuto la valenza di strumento attraverso cui le tifoserie rosanero e rossazzurra avrebbero potuto far vedere al mondo che si può assistere a una gara di calcio, viverla certamente con forte sentimento campanilistico, ma limitarla entro i contorni di un rettangolo verde. L'Osservatorio del Viminale non ha avuto il coraggio di responsabilizzare il comportamento di quanti sarebbero stati scrutati dal mondo intero. Scelta opportuna quanto a limitazioni di rischio, decisione che denota il comune sentimento di essere ostaggi di persone che con il calcio, davvero, non c'entrano nulla.

27/11/07

SOPRA LA PANCA...CONTRATTO A PROGETTO

Progetti a medio termine, alcuni anche a lunga gittata, verba volant, propositi buoni e poi mai mantenuti. Ad inizio stagione tutte, e dico tutte senza nessuna eccezione, hanno avanzato il proprio progetto sulla base di un punto fermo: la scelta o la riconferma dell'allenatore. Frasi di circostanza poi smentite nella pratica. L'inversione di tendenza che sembrava aver promosso i cicli lunghi, il tempo concesso agli allenatori per costruire e modellare la squadra a propria immagine e somiglianza, è stata disattesa. In 13 giornate 6 cambi in panchina e se, da una parte, le grandi resistono sono le piccole, con meno pressioni, con minori aspettative, paradossalmente a modificare la guida. Insomma non molto di strano se si considera l'andazzo degli ultimi anni, ma se può esere giustificato il cambio di tecnico per avere una boccata d'aria fresca, crediamo di ritenere inopportuno il ritorno del ritorno del ritorno di allenatori che ormai hanno fatto il loro tempo in quella determinata piazza. Sonetti, Guidolin non abbiatene a male, una panchina la si può trovare altrove, magari al Parma o alla Lazio, oppure alla Samp: basterebbe rimettersi in gioco in nuove avventure, quelle vecchie, benché piacevoli, sono già consumate.

26/11/07

IL CORAGGIO DI PRANDELLI

Ci sono momenti nella vita in cui per una volta il calcio può anche essere messo da parte perché gli affetti sono più importanti, perché a volte il destino toglie quello che, sotto altre sembianze, ha dato: la carriera prima da calciatore e poi da allenatore confermato, le tante partite vinte e il presente fatto di Fiorentina, squadra emergente, tonica, fresca a immagine e somiglianza del suo mister. Cesare Prandelli non era a Reggio Calabria domenica scorsa, da giocare c'era un'altra gara, disperata, purtroppo persa al fianco della moglie Manuela. Il coraggio di un uomo che aveva lasciato andare la carriera quando la Roma aveva investito su di lui, mettendo in gioco il suo futuro professionale, per rimanere a lottare al fianco di Manuela, malata, non è stato premiato. Un destino crudele si è accanito contro di lui, ingiusto, doloroso. Ora Prandelli dovrà cercare la forza per ripartire con un peso nel cuore, che va rispettato, in silenzio, con un solo incoraggiamento: forza Cesare, ce la farai.

24/11/07

FENOMENO? NO, GRAZIE

Storie passate, dimenticate, ragazzini fenomeni che tali non sono diventati nonostante i veggenti del calcio ne avessero pronosticato un futuro da campioni. Quanti se ne sono persi per strada, troppi, sfruttati e poi lasciati andare al proprio destino. Qualche anno fa la storia di Vincenzo Sarno fece scalpore. Nato a Secondigliano, terra notoriamente famosa per fatti di cronaca nera, ma anche fucina di piccoli talenti cresciuti per strada con il calcio unico strumento di aggregazione e di salvezza da un mondo torbido e da un futuro rischioso. Un ragazzino ingaggiato per 120 milioni dal Torino dell'allora dg Moggi a soli 11 anni con una responsabilità sulle spalle non indifferente per un bimbo che avrebbe dovuto soltanto divertirsi con una palla tra i piedi. Giura di non aver visto una lira il piccolo Vincenzino che oggi ha 19 anni e gioca nella Sangiovannese. E' riuscito a ritagliarsi uno spazio tra i professionisti ma non è stato semplice. Gli anni nel settore giovanile della Roma, il voltafaccia della società giallorossa, l'ennesima caduta e poi la risalita. La Sangiovannese si coccola il suo campioncino, ma non pretende la luna, il piccolo Maradona non c'è più, ha lsciato spazio a un giocatore che insegue il suo sogno, quello di calcare, un giorno, i campi della serie A magari col "suo" Napoli ed essere ricordato semplicemente come Sarno, il piccolo talento caduto e poi risorto.

23/11/07

SUA INGLESITA', MI SCUSI

C'era un tempo in cui la puritana Inghilterra era solita prendersi gioco del calcio italiano, rozzo, difensivista, furbo e poco sportivo. Sarà anche stato così in passato, di certo non lo è in questo preciso momento storico che ha sovvertito fortune e ha invertito la tendenza dei bocconi amari con i sudditi di Sua Maestà britannica costretti ad ingoiarne a iosa e non solo nel calcio. Insomma, la mancata qualificazione ad Euro 2008 è innanzitutto un danno d'immagine per i padri fondatori del calcio, uno smacco già subito in passato che ricorda anni bui, già dimenticati e improvvisamente ripiombati. Steve McClaren si era presentato sul trono con la spocchia di chi si autoriteneva salvatore della patria nel dopo Eriksson per restituire agli inglesi l'Inghilterra. Missione, questa volta sì possible, ma clamorosamente fallita. Lo hanno capito i tifosi, lo ha forse compreso la FA che aveva vietato la panchina agli stranieri. Beh la nuova inversione di rotta è cominciata e mentre la barca continua ad affondare si cerca il capitano da mettere al timone.

22/11/07

IL PESO DI DIEGO

Nessuna questione di chili, di diete, né di pance più o meno pronunciate. L'ingombro non è materiale, ma il dolore quello si sente, forte, quando ti fanno notare che il tuo papà, campione in campo, non è stato in grado di ripetersi nella vita. E allora dopo le polemiche, frasi pronunciate quando forse chi le ha dette non doveva permettersi, il perdono può venire solo dal cuore. Diego Armando Maradona Jr. ha scavato in fondo a se stesso ed ha deciso che concedere un'altra chance è meglio che provare rancore. Non è una questione di soldi, quelli li avrebbe avuti lo stesso, ma solo di serenità interiore. Il calcio va un po' a fasi alterne, le tante squadre cambiate, la serie D in cui fatica ad imporsi sono il sintomo che Diego non è un "Pibe de Oro", ma un ragazzo normale che chiede soltanto di giocare al calcio senza etichette, senza illusioni.

20/11/07

IL MIO VERO MISTER

Che dire, è capitato prima a me che a lui eppure, anche in questa circostanza qualcosa ci accomuna. Dopo essere stati tanto tempo divisi, senza sentirci, forse con un po' di rancore nel cuore, quella panchina tanto lontana che lo ha portato in Ungheria, paradossalmente ci ha riavvicinati. Questa è la storia di Vincenzo Cosco, uomo vero, senza paura, e tecnico preparato, uno dei più bravi tra gli emergenti. Fortunato il Sopron, squadra della serie A magiara, a poter contare sulla capacità dell'allenatore molisano, costretto a emigrare dopo le dimissioni a Pagani. Io ho avuto la fortuna di conoscerlo, di lavorarci insieme: credetemi, merita un palcoscenico degno delle sue qualità, per la passione, la dedizione e la competenza che trasmette. Ha faticato a imporsi sui campi regionali prima, nazionali poi, ha vinto ben più che una semplice partita di calcio, ha superato l'esame più duro che la vita può mettere di fronte a una persona. Ha scommesso sulla sua esistenza prima, sulla sua qualità poi, per questo è un grande uomo, un grande tecnico. In Italia ha trovato le porte chiuse dal regolamento, l'avventura in Ungheria lo maturerà ancora di più, ma è ora che qualcuno gli dia una chance, vera, seria nel calcio nostrano. Lo dico in tempi non sospetti, segnatevi il nome, Vincenzo Cosco farà strada.

18/11/07

GIU' DAL CARRO DEI VINCITORI

Alla fine l'ha spuntata su tutto e tutti. Gli scettici dovranno ricredersi, almeno per il momento, il "raccomandato" ha vinto, ha raggiunto l'obiettivo in barba a quanti contavano le ore che lo separavano da un esonero esorcizzato attraverso la dedizione al lavoro: scelte dapprima cervellotiche, ma poi reindirizzate sulla retta via. Ed ora giù dal carro chi ha remato contro, chi ha espresso giudizi prima di valutare quanto fatto sul campo da Roberto Donadoni. Il ct ha operato scelte scomode e impopolari valutando, coerentemente, di volta in volta, la forma dei calciatori da schierare. Si chiedeva equità nelle decisioni e così è stato. Donadoni non ha guardato in faccia a nessuno, ma ha recuperato gente del calibro di Di Natale e Ambrosini, ha convocato Montolivo, ha chiamato Palladino per ringiovanire il gruppo che tra meno di un anno potrebbe regalarci un'altra gioia, si spera sulla scia di quella Mondiale.

17/11/07

LA FORZA DI JULIO

La diversità è talmente visibile che non bisogna ricorrere a chissà quali artifizi per dimostrare che il calcio è ancora sinonimo di passione, speranza e gioia. Julio Gonzalez, la sua sfida, la sua forza dovrebbe essere la copertina di uno sport che vorremmo sempre vedere e che da queste parti non abbiamo più visto. Bisogna guardare lontano, lontanissimo, superare la terra e l'oceano per assaporare l'impresa di questo ragazzo incapace di non sorridere alla vita. Julio è tornato in campo, senza un braccio, dopo l'incidente di due anni fa che gli costò la carriera in Italia. Ha giocato da titolare ad Asuncion col Tacuary dimostrando a tutti che "nothing is impossible". In un momento di acuta riflessione, dopo le terribili immagini viste e vissute in questi giorni, un raggio di sole illumina il calcio. Onore a Julio Gonzalez, volontà pura, calciatore rinato, unica immagine limpida di un mondo finito nel torbido.

16/11/07

RESTA SOLO L'AZZURRO

Un anno e mezzo fa, quando Calciopoli era ben che cominciata e si proponeva come tsunami pronto a distruggere dalle fondamenta il calcio italiano, il Paese riuscì a reagire sulla scia delle emozioni che ci regalò la Nazionale di calcio in un cammino fatto di voglia di rivalsa, di rabbia e di attaccamento alla maglia che ci condusse fino al titolo di Berlino. Ora che il mondo calcistico è nuovamente messo a repentaglio, costretto sulle difensive da una violenza che non solo è dilagante, ma che non ha nessuna ragione d'esistere associata a questo sport, ancora una volta, siamo pronti ad aggrapparci ad un ideale azzurro per dimostrare se non al mondo, in questa occasione, quantomeno all'Europa che il calcio italiano, benchè moribondo quanto a contesto, è sempre presente, lucido e soprattutto pronto a farsi valere sul campo. La gloria in palio è ben minore che quella conquistata in Germania, i problemi da affrontare diversi e di gran lunga più gravi, ma il filo conduttore che unisce, finalmente, senza campanilismi di sorta, senza per forza ricorrere a un amico tifoso comune ammazzato, per condividere insieme momenti di rinascita è sempre lo stesso, quella maglia azzurra che regala speranza, l'unica a resistere nel mondo di un pallone che ha perso la sua sfericità, mostrando tutti gli spigoli, fastidiosissimi, non più tollerabili, immediatamente da smussare. Agli azzurri la responsabilità di restituire gioia a tanta gente che guardando la tv o andando allo stadio ha smesso, già da tempo, di sorridere

12/11/07

GLI OCCHI PIENI DI LACRIME

Gli occhi pieni di lacrime di quel bambino seduto sugli spalti dello stadio Atleti Azzurri d'Italia, a Bergamo, devono fare riflettere. Inconsolabile, avrebbe voluto soltanto assistere alla partita di calcio dei suoi beniamini. E' quello che avremmo voluto tutti in un'altra domenica che ha ferito a morte il già moribondo calcio. Una rissa, uno sparo, un decesso, tutto terribilmente consequenziale. Vicenda umana, tragedia che esula dal calcio e che, allo stesso tempo, dal calcio ha preso tragicamente spunto ma che va necessariamente scissa in due tronconi netti, distinti. Da una parte la tragica fatalità di un poliziotto che spara a un ragazzo, semplicemente tale e non perché tifoso. La reazione, inconcepibile, di pseudo supporters capaci di scatenare una guerra civile in nome di non si sa bene cosa. Sgomento, dispiacere, rabbia, tutti sentimenti che ci accomunano e ci avvicinano alla famiglia di Gabriele Sandri. Tutto quanto successo poi è figlio, invece, di mancanza di educazione, dell'impunità finora e anche dopo l'inasprimento delle pene, garantita ai facinorosi. Senza demagogia, o falsi perbenismi, occorre intervenire, presto, a monte, forse, dando più importanza all'educazione civica nelle scuole nel tentativo di far nascere una generazione di bimbi, di ragazzi, di dirigenti di questo Paese, più consapevoli, più responsabili, pronti a lenire le ferite di chi nel calcio trova amplificata la terribile realtà della vita quotidiana.

11/11/07

SPORT CAOS

Nostalgia di un tempo passato e nemmeno troppo lontano. Tornando a vedere con gli occhi di bambino quel mondo in cui e per cui si è cresciuti sognando di diventare campioni dello sport, ammirando le gesta di chi ci ha fatto innamorare di un pallone o di una bicicletta, di una racchetta e di un volante, siamo qui, ora a commentare quello che non c'è più, anzi, ciò che esiste ancora, ma trasformato alle radici, nell'essenza e nella morale. Nell'epoca in cui, forse, la società non è in grado di marcare linee guida per i giovanissimi, la speranza che lo sport fungesse da surrogato è svanita. Calciopoli è passata da tanto tempo, ma le scorie sono rimaste, poco è cambiato e solo nell'atteggiamento più tollerante degli spettatori. Le isole felici non sono sopravvissute, annegate tra scommese e doping, sottratte di quell'aura di sport "puliti" che sembravano portarsi dietro come eredità genetica. Il tennis, aristocratico per definizione, è finito per diventare mezzo ad uso, consumo e vittoria del popolo assetato di denaro, dando vita a un vero e proprio business delle scommese. Match persi di proposito, avvelenamenti presunti (come quello di Haas in Russia), positività alla cocaina (Hingis), hanno sporcato le mise bianche che i tennisti a Wimbledon in un passato relativamete recente solevano vestire. Il ciclismo ha il sangue malato, le confessioni di Rasmussen, l'Operacion Puerto e Basso, l'Oil for Drug e Di Luca sono sintomi di una volontà di non cambiare a dispetto di quanto tutti, nel mondo del pedale, vogliano far caire. Il doping è arrivato persino in Formula 1 sotto forma di dati spiati, copiati e usati per avere un vantaggio nel tentativo di vincere. Il rugby, l'ultimo baluardo della lealtà e correttezza, del successo raggiunto con i muscoli e col cuore, è caduto. L'atletica in cui tutti corrono, saltano, e lanciano non ha trovato i mezzi per correre lontano, saltare o colpire con un lancio ben assestato, l'effetto anabolizzante, steroideo, ormonale di una delle piaghe che più del doping sta distruggendo un mondo dove finora era ancora lecito sognare: il business, salvadanaio degli sporchi, ammaliatore di illusi, virus letale.

09/11/07

BOBA, AURELIO E RABONA BALLANO COL PASO DOBLE

Presentata così sembrerebbe una gara di ballo con tre amici (due donne e un uomo) e un tipo di musica, evidentemente sudamericana. Non che con la danza non abbia a che fare, ma la questione assume connotati diversi perché riferita a un campo di calcio, a un pallone e all'ingannevole dote che solo i campioni riescono ad applicare nella pratica della finta. I colpi magici, le giocate spettacolari, i "numeri" o più semplicemente l'essenza del calcio sono alla base della bellezza di questo sport. Riuscire solo a pensare di attuare una tale giocata tecnica risulta difficile, figurarsi l'applicazione pratica di gesti che sono armonici all'ennesima potenza, ma difficilissimi da eseguire. Tutti con una caratteristica particolare sono stati consacrati da calciatori che, per primi, le hanno mostrate al pubblico. La più celebre giocata, anche la più monopolizzata è il Paso Doble (doppio passo) del quale fu precuresore in Italia Biavati, ma che ha trovato definitiva consacrazione con le finte di Ronaldo e Denilson, Ronaldinho e Mancini, Robinho e Cristiano Ronaldo. Spettacolare e certamente meno utilizzata è la Rabona che letteralmente significa, colpo di coda, utilizzata da Diego Armando Maradona (in Italia la sperimentò tale Giovanni Roccotelli), poi utilizzata dal genio di Roberto Baggio e dal piede fatato, quantunque alcolico, di Paul "Gazza" Gascoigne. Di più recente brevettazione la Boba della meteora Andres D'Alessandro, promessa eterna del calcio argentino e finito in Europa in squadre di medio prestigio. L'ultima nata della lunga serie che conta varie altre "specie" nell'unico genere delle finte è l'Aurelio, già applicata da Ronaldinho, e messa in pratica in Italia da Rodrigo Taddei, centrocampista della Roma che ne ha anche forgiato il nome dedicandola al vice di Spalletti Aurelio Andreazzoli. Insomma tutte componenti di una famiglia che aspetta di essere ingrandita, a chi la prossima mossa?

AURELIO

RABONA E PASO DOBLE

LA BOBA

DISPORRE DEL DESTINO ALTRUI

Il potere decisionale sta alla base della leadership, sia essa riferita a un singolo o ad una moltitudine ristretta. Tempo fa questa caratteristica veniva manifestata attraverso il gesto del "pollice verso" che attribuiva agli imperatori romani la facoltà di condannare a morte o salvare i gladiatori impegnati nelle sanguinosissime lotte nel Colosseo. Catapultando il concetto ai giorni nostri e riferendolo all'Inter, la formazione di Roberto Mancini è un po' come un imperatore romano o un monarca francese. La grandezza di questa squadra, non sta tanto nelle prestazioni, efficaci, belle, ciniche e di gran lunga migliori rispetto a quelle di altre squadre, quanto nella capacità di decidere quando è il momento di vincere la partita. Disporre del destino altrui a proprio piacimento è il trait d'union che lega le grandi squadre del passato e del presente e che legherà, con tutta probabilità anche quelle del futuro. Il Torino scomparso a Superga, la grande Inter, il Real, il Barcellona, il Milan hanno, in epoche diverse, mostrato tutte questa caratteristica. La gara con il Cska Mosca manifesta, visibilmente, questa dote ancorata agli umori nerazzurri. Disarmante la capacità con cui la squadra di Mancini riesce a comandare come meglio crede, a volte inopportunamente andando incontro a sbandate, il gioco, ma ancor più incredibile la semplicità con la quale l'Inter riesce ad alzare un muro netto tra il lasciar fare agli altri e l'ingresso del rullo compressore. Contro i russi l'Inter ha dato la sensazione di lasciar divertire Jo e Vagner Love, prima di punirli severamente riportandoli alla realtà delle cose. Questo dimostra un cinismo che sa quasi di vendetta rispetto alle illusioni passate. Questo cinismo è tipico delle grandi, grandissime squadre, decidere del destino atrui significa, potere, in questo caso reali possibilità di vittoria.

07/11/07

L'ESSENZA RESTA

Il ricordo, quello, era doveroso per chi ha dato lustro a un calcio che, forse non riavrà mai la schiettezza, la classe di un personaggio per il quale la carriera parla da sola. Ed allora è inutile dilungarsi su numeri e imprese, storia benché sbiadita, rivissuta nella memoria di chi ha avuto la fortuna di vederlo prima giocare e poi allenare, potendone ammirare con la consapevolezza dell'uomo maturo, personalità e dignità, ironia e brillantezza. Niels Liedholm per chi è della mia età era già vecchio quando abbiamo iniziato a calciare un pallone, la rivoluzione tattica c'era già stata e noi siamo stati forgiati da un calcio del quale Liddas era stato il precursore in tempi non sospetti. Insomma, anche per chi non ha potuto capirne immediatamente le innovazioni è diventato un'icona. Per i vari Conti, Ancelotti, Pruzzo, Falcao sarà anche stato un padre, per noi che siamo arrivati dopo resterà il nonno che racconta scampoli di vita vissuta in uno stadio, su una panchina, in un calcio che, forse, non rivivremo mai più.

SAMIR NASRI

MOURAD MEGHNI

TRONO E PANCHINA SONO DIFFERENTI?

Dal punto di vista meramente strutturale forse sono distinti. Per quel che concerne la funzionalità trono e panchina, invece, non sembrano manifestare troppe differenze. Nel calcio, la cosa, è un po’ diversa. Anzi, a pensarci bene, le sfumature si colgono bene anche se solo si immagina la conformazione estetica dei due oggetti o il significato intrinseco che essi contengono. Il trono è grande, bello, sinonimo di potenza, di autorità, la panchina invece è dimessa, umile, utile alla gente comune per riposarsi, magari, dalle fatiche della vita quotidiana. Questa distinzione la conoscono bene Adriano e Ronaldo: entrambi hanno vissuto le due dimensioni soltanto che la tendenza dei due, al momento, è uguale ma contraria. L’imperatore che fu, è già da un po’ sceso dal piedistallo dal quale, qualche anno fa ha guidato l’Inter prendendosi responsabilità e colpe di una squadra incapace di vincere. Ronaldo, invece, che sul trono ci è stato spesso e volentieri e da lì ha vinto mille battaglie e trofei da protagonista assoluto, è pronto a tentare la nuova scalata. Punto di mezzo tra l’oblio e la gloria, la panchina, per la quale entrambi sono passati. Adriano l’ha vista, l’ha provata ed è sceso preferendo accomodarsi, anzi è stato obbligato, in tribuna. Ronaldo l’ha trovata tanto scomoda da accelerare il recupero dall’ultimo infortunio. Se il trono ovviamente resta l’obiettivo, il traguardo, l’ambizione da raggiungere, che sia per la prima volta o per un ritorno, e dal quale una caduta può essere talmente rovinosa da far smarrire la retta via calcistica, per i calciatori la panchina dovrebbe essere il punto di ristoro, di riposo, di convalescenza da un periodo negativo, un rinnovato trampolino di lancio per riconquistare la credibilità perduta. Inzaghi in…segna.

I FIGLI DI ZIDANE

Negli ultimi tempi, da quando Zizou ha ormai appeso le scarpe al chiodo, lasciando agli appassionati un vuoto incolmabile dal punto di vista dell’edonismo del calcio moderno, si è parlato di eredi naturali, figli calcistici di un idolo universalmente riconosciuto. Attraverso questa definizione ci è passato Ribery, forte, fortissimo, ma per nulla simile alla grazia del gioco di Zizou. Ci è passato Gourcuff persosi nella pressante grandezza del prestigioso Milan. E’ toccato a Nasri, algerino-marsigliese, che in nazionale ha già debuttato e segnato e che, forse, realmente, per movenze e stile di gioco ricorda da vicino il fuoriclasse di Juve e Real. Ma prima di tutti l’etichetta di petit-Zizou l’aveva raccolta un certo Mourad Meghni, fenomeno decantato, giunto in Italia giovanissimo a Bologna dal Clairefontaine e debuttante in A già nel 2003. Una bolla di sapone, una meteora destinata presto a scomparire, incapace di reggere il confronto con i grandi del campionato nostrano e, dunque, con un destino già scritto e un biglietto di sola andata per la Francia. E invece a raccogliere il piccolo ma talentuosissimo francese è stata la Lazio, insoddisfatta in questo primo scorcio di stagione dalle prestazioni di Meghni, ma solo fino alla serata di Champions con il Werder nella quale il baby-fenomeno, un po’ cresciuto, ha incantato con la sua classe, con i suoi tocchi e il genio ribelle soltanto a sprazzi comparso nella militanza italiana. Rigore procurato e assist a Rocchi per una vittoria che ha, forse, segnato la svolta nella stagione della Lazio. Insomma Lotito, per quanto possa essere criticata la sua politica di gestione della società, ha scovato, ha cercato e, forse, ha ritrovato un talento, che per quanto buona possa essere stata la sua prestazione rimane tale. Si attendono conferme, intanto Rocchi ringrazia.

06/11/07

Un altro modo di intendere il calcio

Non posso dire di essere un'esperto ma nell'epoca in cui la voce di ciascuno si perde tra il rumore della moltitudine di opinioni comode, convenienti e direi, piuttosto omogenee, mi è sembrato opportuno firmare, visualizzare la mia idea e immergerla nell'oceano della rete. Beh, insomma, dal titolo e dal profilo avrete capito di cosa intendo occuparmi. Sono un giornalista sportivo (per i dettagli vi rimando qui a fianco) e dunque, in questo diario parlerò, con cognizione di causa, dello sport in generale e del calcio in particolare con approfondimenti e ritratti, notizie e commenti. Insomma vi racconterò il calcio dal mio punto di vista, quello di appassionato, ex promessa del calcio, ed ora attento osservatore di un mondo che per me è sempre stato troppo "sferico".