25/12/08

David vs Golia, il messia nel presepe Milan: è iniziata così


Un'auto piena di bagagli con rinchiuso in una, di quelle valigie, il sogno di David Beckham: quello di giocare nel Milan, di vestire il rossonero. Un desiderio celato persino alle pagine della propria autobiografia, rimbalzato ferocemente nella mente dello Spice Boy, così poco giocatore e tanto industria dello spettacolo fuori dal campo, quanto campione acclamato e conclamato sul rettangolo verde, per molti superato, per altri chissà. Convinzione che ha spinto Adriano Galliani a ripetere che David darà una mano alla squadra, aiuterà a vincere qualcosa dopo un anno, il 2008, in cui, di successi non ce ne sono stati se non sul mercato, con l'arrivo di Ronaldinho a cui si andrà ad aggiungere una stella troppo presto sacrificata al palcoscenico di Los Angeles, di Hollywood e dei Galaxy dopo che lui, di galactico, ha fatto davvero tanto e non solo con la maglia del Real Madrid.La sensazione di curiosità, più che di effettiva credenza nel valore aggiunto che il giocatore potrà garantire alla squadra, si è respirata durante la conferenza stampa di presentazione, preceduta dall'entusiasmo non certo trasbordante di un popolo, quello rossonero, che per Ronaldinho mostrò ben altro calore. Un ricevimento soft, senza troppi clamori, derivante, in fin dei conti, dal fatto che il buon David è e resterà patrimonio altrui e non del Milan, che i mal pensanti vogliono più impegnato in un'operazione di marketing che altro.Beckham, in realtà, lo ha ripetuto fino allo sfinimento, si sente ancora un giocatore di calcio, imperturbabile verso chi lo accusa di aver appiccicato addosso quell'alone di divismo che lo colloca sulla scena mondiale sempre più come personaggio mediatico e non come campione del calcio. Un'etichetta che il centrocampista inglese dal destro fatato avrà, per l'ennesima volta, il dovere e, forse, il piacere di scrollarsi di dosso, mostrando a tutti e per primo al consigliere di fiducia, Fabio Capello, che giocare a certi livelli è ancora roba che fa per lui.Quella di David sarà una sfida contro Golia in un titolo che sembra avere un finale scontato se ci si attiene a un copione ormai letto mille volte e interpretato all'infinito, ma questa volta con l'incognita di una variabile determinante per la storia di ciascun calciatore: il campo. Il 2008 milanista, dunque, si è chiuso col botto finale in attesa dell'anno che verrà, sognando Beckham, pianificando nuove sfide, sperando nella stagione del definitivo rilancio.

14/12/08

Ronaldo al Corinthians, scelta giusta e coraggiosa


Un modo di vivere, non una semplice fede, un atteggiamento istrionico e teatrale consolidato nei decenni, in quasi un secolo di storia trascorso tra speranze e successi, cadute e incredibili risalite. La favola di Ronaldo e quella del Corinthians vanno di pari passo: per natura, popolare della squadra e del giocatore, per eventi, dolorosi (infortunio e retrocessione), per quel tentativo estremo di tornare a essere campioni. Per questo la scelta del Fenomeno non può che essere giusta, all'apparenza errata rispetto a quanti, i tifosi del Flamengo, si sono sentiti traditi da un comportamento forse politically incorrect, ma che ha un senso profondo da ricercare nel passato e da considerare nel presente e nel futuro di una storia tutta da scrivere, dal finale tutt'altro che scontato e che impone assonanze e discrepanze che la rendono ancora più avvincente, intricata e intrigante.Come Ronaldo è il calciatore più amato del Brasile e forse dell'intero pianeta, il Corinthians conta 17 milioni di tifosi, seconda squadra per numero di supporters dietro al Flamengo. La natura operaia (è stato fondato da manovali) la rende più vicina alla gente in contrapposizione alla sfuggevolezza di un Ronie irraggiungibile. L’affetto, ma a volte manifestato in maniera deviata dai gruppi dei tifosi bianconeri, è ciò che occorre per sentirsi di nuovo amato ed è anche l’arma a doppio taglio che il Fenomeno dovrà maneggiare con cura per non ferirsi ed essere ferito ancora. Stimoli nuovi, unico appiglio per resistere a una forza centrifuga che lo vorrebbe ormai lontano da un calcio non più adatto a chi ha lasciato sul campo tanta classe e due ginocchia. Ancor di più ora che il Corinthians gli ha garantito un lauto ingaggio di 127 mila euro al mese, esclusi i premi s'intende, e lo sfruttamento dei diritti d'immagine legato al merchandising di magliette e palloni.I colori, quelli sì sono una bel tabù da esorcizzare. Il bianconero, sempre odiato se riferito all'Italia, in parte snellisce, dall'altra sembra inappropriato rispetto a chi il nero lo ha vestito solo accostato all'azzurro e al rosso, e il bianco, in tinta unita, al Real Madrid. Deliri cromatici che si combinano con la partecipazione di una fazione potente e influente dei tifosi corintiani, i Falchi, al Carnevale sempre amato da Ronaldo, ora simbolo da esibire non solo durante la sfilata del “Bloco”, ma soprattutto sul terreno del Parque San Jorge. Da dove ricomincerà la risalita cantata nella prima strofa dell'inno del "Timao": un "salve Corinthians campione dei campioni" che fa tutt'uno con bentornato Ronaldo, fenomeno dei fenomeni.

04/12/08

Rimpianto nerazzurro, l'Inter disse no a C. Ronaldo


Facile parlare con il senno di poi, quando le valutazioni risultano più semplici e gli errori macroscopici. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico, lo sa l'Inter, a sue spese, lo sa il Milan a proprio ma ritardato beneficio. Così fu con Ronaldinho (ora tra i migliori rossoneri), la stessa cosa è accaduta con Cristiano Ronaldo. Una maglia nerazzurra appena sfiorata da giovanissimo, la lungimiranza di un talent scout come Luisito Suarez, la negligenza di chi, all'epoca, non volle investire sul portoghese. Non che l'Inter sia rimasta con un pugno di mosche in mano, sia chiaro, l'organico è certamente tra i migliori d'Europa, ma a voler proprio affondare il coltello nella piaga, portoghese per portoghese, Ronaldo sarebbe stato preferibile a Quaresma.Facile dirlo ora, certo, anche se, a suo tempo, Suarez cercò di convincere i dirigenti nerazzurri a fare il sacrificio. Correva l'anno 2002 e sarebbero bastati poco più di qualche milione di euro per prelevarlo da uno Sporting Lisbona non certo in buone condizioni economiche. Talento acerbo si disse, tutti d'accordo a lasciarlo lì a maturare in Portogallo, tempo sprecato inutilmente trascorso a vantaggio del Manchester United e all'occhio attento di Sir Alex Ferguson che non attese oltre per consegnargli quella maglia numero 7 che fu della leggenda George Best, ben consapevole che quel cognome, riferito a Cristiano Ronaldo, un giorno, sarebbe stato a significare semplicemente "il migliore".