20/02/10

Ovrebo, uno Shrek con gli occhiali: "Vai dall'oculista"


Da Paranormal Penalty a Ghost, il risultato è lo stesso: una partita persa per colpa di un gol fantasma. E la polemica non si placa. I tifosi della Fiorentina sono sul piede di guerra e smaltita la carica di una inutile protesta ufficiale alla Uefa, il bersaglio esclusivo delle ironie viola è diventato l'arbitro del misfatto: il norvegese Ovrebo. Accostato su Facebook non a caso a Shrek (che in lingua yiddish significa terrore), da Lady Radio (il microfono gigliato nell'etere) è partita la proposta: una visita oculistica per l'arbitro che ha regalato il successo al Bayern. "Con la presente - si legge - vi comunichiamo che l'emittente radiofonica Lady Radio ha raccolto la completa disponibilità del dott. Paolo Perri, specializzato in oculistica con studio a Firenze, a effettuare una visita specialistica al signor Tom Hennin Ovrebo, arbitro della gara Bayern Monaco-Fiorentina, e ai giudici di gara tutti della suddetta partita".

Un invito esplicito che fa tutt'uno con il malumore espresso, senza mezzi termini, sul social network di maggiore frequentazione. Il gruppo "Ovrebo maledetto" è il più numeroso con circa 3.500 iscritti. Una sorta di protesta silenziosa in cui l'essenza è racchiusa nel titolo stesso senza necessità di aprire post in bacheca. Uno dei più gettonati è "Odio Ovrebo", con oltre 1.800 membri in cui la rabbia non ha colore. Tifosi non solo fiorentini ma anche di Roma, Lazio e addirittura del Real sono intervenuti a dire la loro. "Tifo Roma , ma non conta. queste cose ti fanno montare un rabbioso disgusto, e ci sente traditi dal mondo del calcio, al quale , sicuramente, diamo anche troppo", spiega Enrico Paris. Ma c'è già chi pregusta la vendetta come Nicola Giaccio: "Spero che la viola vinca 1 a 0 con gol in fuorigioco....".

Mario Catanzano ipotizza, invece, un disegno anti-Italia ordito per mezzo di Ovrebo: "Servo della Uefa che vuole togliere un posto in Champions alle italiane per darlo alle tedesche...". La soluzione, tuttavia, è a portata di click e la proposta degli internauti è raccolta in un altro gruppo ed è una e una sola: "Ovrebo radiato". Sarà così?

09/02/10

Nelle viscere di Madrid tra Real, Atletico e Rayo Vallecano


Il freddo di febbraio a Milano è pungente, il campionato italiano ha già emesso il suo verdetto più importante: l'Inter è troppo forte, vincerà lo Scudetto a mani basse. Ho un viaggio da fare a Madrid, il weekend mi sembra l'ideale per respirare un'aria meno gelida e un entusiasmo diverso. Volo low cost, arrivo in Spagna con la convinzione di staccare la spina: tapas bar, musei, una passeggiata nel parco del Buen Retiro e movida. L'intenzione è quella di divorare la città in 48 ore senza pensare al calcio, al Real e all'Atletico. Mi sento un po' come Dante e identifico il mio amico Miguel de Chamartìn in Virgilio, sarà lui la mia guida. Eppure Madrid mi sembra tutta paradiso, ho saltato inferno e purgatorio, poco male il mio scudiero mi accompagnerà lo stesso. E' sabato, il Real insegue il Barcellona in classifica e gioca in casa con l'Espanyol. Miguel non mi risparmia il solito pistolotto sul madridismo e sui favori degli arbitri al Barcellona: non m'interessa ci hanno rubato Kakà e Ibra.

Proprio accanto a Plaza Mayor c'è una tienda che vende "las camisetas" delle squadre della Liga: devo comprare un ricordo. Non posso tifare merengues, né blaugrana, decido che è il Rayo Vallecano la mia squadra del cuore. Chiedo alla proprietaria del negozio se hanno la classica maglia bianca con la banda rossa della squadra del barrio de Vallecas, mi risponde con un'altra domanda: "Perché proprio quella?" ed io: "Non posso tifare Real o Barça". Mi guarda stranita e mi chiede di dove sono: "Milano", le dico. Evita di approfondire per quale squadra tifo (le avrei risposto per il bel calcio ndr) e mi dice con aria solidale: "Voi avete Berlusconi, qui c'è Zapatero", chiudo il discorso, non voglio addentrarmi nella politica, torno a parlare di calcio. Mi spiega di Vallecas e del quartiere povero, del presidente Ruiz Mateos e del fallimento del suo gruppo di aziende, la Rumasa, e di aver ceduto la proprietà del club alla moglie Maria Teresa Rivero Sanchez, diventata idolo della tifoseria a tal punto che lo stadio della squadra porta il suo nome. Compro una sciarpa del Rayo, saluto e vado via.

Dopo aver consumato cioccolata calda e churros, il Bernabeu è una tappa d'obbligo. Da Plaza del Sol devo cambiare una linea di metro e fare in tutto cinque fermate: ok ci andiamo. La maestosità della "casa blanca" incute timore. Sono le 19.30, la folla comincia ad addensarsi nelle vicinanze dello stadio: donne, bambini accompagnati da genitori, sciarpe, magliette, cappellini, una marea bianca della quale resto impressionato. L'entusiasmo si respira nell'aria, sono tentato di comprare il biglietto e vedere il traditore Kakà giocare in un'altra squadra. Se Miguel me lo chiede... In cinque minuti ho una taquilla: 4.o anfiteatro, fondo norte. Fin qui ci siamo, vomitorio 517-n. Vomitorio? Non capisco, ma la parola mi fa ridere. Dopo una serie infinita di scale mobili sono praticamente appeso alla copertura del Bernabeu, a picco sul terreno di gioco ad un'altezza siderale che quasi ho la nausea. Penso che quel vocabolo renda bene l'idea.

Gara troppo facile per el Madrid, l'Espanyol è poca roba. Segna Sergio Ramos, raddoppia Kakà e chiude Higuain. E' un trionfo Real, non solo per la squadra di casa ma anche per gli occhi e per le endorfine. Torno in albergo con la sciarpa del Rayo, una immediata rivalutazione del madridismo, chiedo scusa a Miguel che l'indomani mi accompagnerà al Vicente Calderòn per completare il mosaico. L'Atletico è il club della classe operaia di Madrid: lo stemma ne rappresenta l'essenza. Il bianco e il rosso a strisce sulla maglia deriva dal fatto che, tempo fa, le divise erano facilmente ricavabili dai fondi dei materassi (di quel colore ndr). Oggi non è più così: una gigantografia della camiseta colchoneros campeggia su un edificio di fronte allo stadio che, però, è chiuso. Il giro lo facciamo a piedi, non c'è l'imponenza del Bernabeu ma tutto sommato il Calderòn mi piace. Il ricordo è una foto in cui “abbraccio” Aguero dopo un gol, la giusta gioia dopo due giorni di emozioni intense.E' ora di andare, bisogna prendere l'aereo.

I ricordi mi accompagnano durante le due ore di volo: il calore, l'entusiasmo dei tifosi di Madrid, del Real, dell'Atetico o del Rayo non svaniscono nella nebbia di Milano. Sono solo un po' triste...

05/02/10

Il Mar Baltico dietro l'angolo, ecco la favola Ventspils

E' il Paese con la maggior percentuale di donne, tutte bellissime. Il calcio è il terzo sport nazionale dopo hockey e basket eppure con la palla tra i piedi, negli ultimi anni, hanno ottenuto risultati di tutto rispetto. Se dici Lettonia pensi al gelo di una terra che appare lontana. Per l’italiano Nunzio Zavettieri, invece, il Mar Baltico è proprio dietro l’angolo, Ventspils è un rifugio dove insegnare calcio dopo la lunga militanza nel settore giovanile dell’Inter. La sfida è partita, il compito, adesso, è quello di monitorare i "suoi" ragazzi alla prova del Torneo di Viareggio.

Il paragone col calcio dell’Europa Occidentale non regge: soldi, organizzazione e strutture non sono gli stessi e la crisi economica ha lasciato il segno anche nell’ex repubblica sovietica. "Da un punto di vista organizzativo il calcio lettone è abbastanza indietro – dice Zavettieri – Manca una gestione professionale come la intendiamo normalmente noi". Le abitudini quotidiane sono estremamente diverse: "L'alimentazione, ad esempio non è curata come richiede una pratica sportiva agonistica e la gestione dei ritiri è difficoltosa. Io ho cercato di portare un po' di metodo". Insomma uno squilibrio neppure troppo latente tra ciò che è necessario e ciò che è superfluo: "Andiamo in hotel a 5 stelle e poi al campo mancano le lavatrici per lavare le divise. Ognuno la porta a casa e ci pensa da sé".

Cose improponibili in un calcio iper-professionistico come quello italiano. Ma i ragazzi del Ventspils non hanno sfigurato anche se, nei due match disputati finora nella Coppa Carnevale, hanno perso in entrambe le occasioni: "Con la Roma abbiamo retto il confronto – spiega orgoglioso Zavettieri – anche perché abbiamo schierato 3 giocatori classe '93 e uno classe '94". Il materiale su cui lavorare c’è e qualcuno potrebbe davvero pensare di fare il colpaccio. Il talento del giovane Vishnjakovs potrebbe consentire al ragazzo di ripercorrere le orme di Maris Verpakovskis, il calciatore migliore della Lettonia, ma Zavettieri prima tesse le lodi e poi smorza gli entusiasmi: “I ragazzi hanno voglia, sono disponibili e disciplinati e rispettano le gerarchie – spiega ancora – Ma per fare il salto di qualità occorre rompere con le abitudini e la tradizione”.

Di certo il Ventspils non vincerà il torneo di Viareggio, ma mai come quest'anno la battaglia è aperta a diverse squadre: "Spero vinca l’Inter dati i miei trascorsi, ma è davvero difficile indovinare chi sarà campione". Non ha paura di esporsi Zavettieri e, senza fare torto a nessuno, rivela chi sarà il campione di domani: "Non perché sia stata una mia scoperta, ma soprattutto per le sue qualità dico Lorenzo Crisetig". Mou, a buon intenditor…

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04/02/10

Dentro il Viareggio: siamo l'FC, ci manda Kallon

Se non fosse stato per le guerre e per i governi la Sierra Leone sarebbe un angolo di paradiso terrestre. I suoi gioielli non sono soltanto i diamanti insanguinati che valsero a Leonardo Di Caprio la nomination per l'Oscar come migliore attore (nel film Blood Diamond del 2006 ndr) e che bagnarono una guerra civile durata dal 1991 al 2000. L'oro di uno dei Paesi più poveri della terra non è nascosto sotto gli altipiani che delimitano la gran parte del territorio, ma splende nella luce degli occhi di quei giovani che hanno vissuto miseria e che, d'un tratto, si ritrovano catapultati su una ribalta internazionale cercando la felicità rincorrendo semplicemente un pallone nel Torneo di Viareggio.

"Si chiama Kallon Kallon, è forte al pallon pallon", è il celebre ritornello strimpellato qualche anno fa dal cabarettista Gianni Ciardo per rendere omaggio al personaggio più famoso del piccolo Stato africano. Quel giocatore che militò a lungo in Italia (Genoa, Reggina, Vicenza e Inter) ha deciso di rendersi utile per il proprio Paese e nel 2006 ha rilevato per 30.000 dollari una delle squadre della capitale Freetown battezzandola con il proprio nome: F.C. Kallon. Il club ha fatto passi da gigante in una nazione che manca di una tradizione calcistica consolidata e il cui miglior risultato resta la qualificazione alla fase finale di Coppa d'Africa.Eppure, oltre al già citato Mohamed Kallon, l' F.C. qualche buona leva l'ha sfornata: calciatori che sono emigrati negli Usa, nell'emergente Mls come Teteh Bangoura, oppure hanno sfidato distanza e freddo per giocare in Finlandia nell'Helsinki (Medo Kamara) o in Svezia nell'Orebro (Hassam Sesay).

Il più fortunato di tutti è stato certamente Rodney Strasser, talento scovato dal Milan e già esordiente in prima squadra. Al Viareggio c'è anche lui, con la maglia di un club di serie A che rappresenta il sogno impossibile di tutti i suoi connazionali. La giovane squadra sierraleonese ha finalmente esposto i suoi diamanti, per appropriarsene non servirà nessuno scontro, nessuna guerra, basterà soltanto chiedere.

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03/02/10

Giù la maschera, i figli d'arte nella Coppa Carnevale

Dicono che abbia la stessa fantasia del padre, solo il tempo sarà giudice. Di certo porta lo stesso cognome del 14enne che nel lontanissimo 1978 arrivò a Bologna e che due anni e mezzo più tardi esordì in serie A sugellando con la città un amore intenso ma breve. Andrea Mancini, un cognome che pesa, una passione infinita per il rossoblù, oggi ha 18 anni e si affaccia al grande calcio sul palcoscenico più importante per un giovane calciatore. E' uno dei figli d'arte che il Torneo di Viareggio presenta ai nastri di partenza. Trequartista, come papà Roberto, anche se, si dice, sia più rapido e più che un 10 sembra un 9 e mezzo. Fatto sta che il destino, da calciatore, lo ha scritto nella data di nascita: il 13 settembre, lo stesso giorno in cui Mancio Senior mise per la prima volta piede su un campo di serie A.

Da Bologna a Cesena la distanza è breve, la storia diversa, il nome sulla maglia ha tre lettere in più ma il peso specifico è sicuramente inferiore. Non lo saranno, certo, le pressioni per Elia Ballardini, professione centrocampista, altro figlio d'arte di un allenatore salito alla ribalta da qualche anno a questa parte. Classe '91, Elia spera in una carriera migliore di quella del papà che, sempre in bianconero, non ebbe grande fortuna da calciatore. Gli addetti ai lavori dicono sia uno dei più promettenti. L'influenza, sul piano tattico, di mister Davide deve averlo in qualche modo forgiato: corsa, ritmo e buona tecnica sono alla base di un centrocampista completo.

Di bianconero in bianconero, prestigio differente però, specie se la squadra chiamata in causa è la Juventus. In questo caso, uno strappo alla regola, il cognome non è quello di papà, o meglio, è anche quello di papà, ma soprattutto di nonno Giampiero. Il “Marisa” è un pezzo vivente di storia della Signora e con Filippo (classe '92) non ama parlare dei suoi trascorsi, preferisce che il giovane nipote non sia pressato dall'invadenza del suo passato. Nella Primavera bianconera il Boniperti junior è tra i più bravi ed è stato convocato, di recente, anche in prima squadra. Il consiglio del nonno è sempre lo stesso: vedi la palla prima che ti arriva, dribbla rapido e tira in porta. Seguirlo resta un obbligo.

Fare gol può essere più semplice grazie anche agli assist che potrebbe garantire Giuseppe Giovinco. Sebastian è uno dei talenti più puri della Juventus e del calcio italiano e il quasi identico fratellino ha tutta l'intenzione di ripercorrere le sue orme. Stessi capelli (rapati a zero), identico ruolo, ma Giuseppe ci tiene a precisare: "Io sono più alto", di quanto? Due centimetri, ma magari faranno la differenza.

E sempre per restare sulle rive del Po ed accendere un possibile derby, sponda granata tocca a Gianmario Comi (classe '92) tenere alto il nome di famiglia. Papà Antonio è responsabile del settore giovanile del Toro ed è stato un arcigno difensore. Gianmario ha carpito i segreti dal babbo e li ha trasformati in un'arma da contrappasso. Fa l'attaccante e sa come battere i difensori. Alla Juve ne sanno qualcosa...

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