17/11/10

Under 21, l'anno zero degli Azzurrini. Via alla ricostruzone

Buona la prima nell'anno zero dell'Italia Under 21. Occorreva ricostruire dalle basi per sperare, nei prossimi anni, di tornare a livelli di qualche tempo fa: promettenti e vincenti. La Nazionale di Ciro Ferrara (all'esordio sulla panchina degli azzurrini) ha vinto e, in parte, convinto contro la Turchia. Un successo per 2-1 che consente di buttarsi alle spalle la delusione per l'eliminazione dalla fase finale del prossimo Europeo e dalle Olimpiadi di Londra maturata non troppo tempo fa con la sconfitta contro la Bielorussia.

La nuova stagione è cominciata con la sostituzione di Pierluigi Casiraghi con l'ex tecnico della Juventus, che ricordiamolo, è abituato a lavorare con i giovani avendo, in passato ricoperto anche il ruolo di responsabile del settore giovanile dei bianconeri e con ottimi risultati. La rifondazione è passata necessariamente dall'inserimento, per raggiunti limiti di età di molti dei giocatori dello scorso biennio, con tanti nuovi volti e nomi che ben presto cominceremo a conoscere meglio.

La prossima rassegna continentale è datata 2013 nelle sue fase finali, tre anni di purgatorio da dover sopportare che almeno permetteranno ai giovani di crescere. Il gruppo è solido e la qualità non manca in ogni reparto, eccetto forse la difesa dove la mancanza d’esperienza potrebbe essere sopperita con un po’ di tempo, e ce n’è, con cui migliorare meccanismi e intese.

Davanti Macheda, una doppietta contro i turchi, è certamente uno degli assi della squadra e, forse, anche il giocatore di maggiore carature e non soltanto perché gioca nel Manchester United ma soprattutto per la grande stima che Ferguson ha del giocatore italiano e dei no opposti a tanti club di serie A che desiderebbero riportarlo al di quà della Manica.

Con lui il capitano Fabbrini che gioca nell'Empoli e il compagno di reparto Destro, scuola Inter e ora in prestito al Genoa, sono quelli pronti a garantire maggiore solidità alla squadra. In mezzo al campo Soriano (scuola Bayern, passato dalla Samp e ora all'Empoli) e Romizzi (di proprietà della Fiorentina) fanno sentire la loro presenza e D'Alessandro (in prestito dalla Roma al Bari) sulla corsia di destra è una spina nel fianco degli avversari. In difesa i giovani crescono: bene Crescenzi e Caldirola.

Le alternative non mancano come Giandonato, già esordiente nella Juve di Delneri o Borini, promettente attaccante del Chelsea che a un certo punto della gara ha fatto coppia con il Red Devil Kiko formando un tandem tutto targato Premier League. Insomma Macheda-Macheda per questo primo successo dell'era Ferrara non è male. Lo ha detto lo stesso tecnico che ha elogiato la prestazione dei suoi e ha confermato la volontà anche di pescare, se necessario, in Lega Pro per valorizzare qualche giovane interessante.

Tuttavia, in questo momento, occorre solidificare le fondamenta di una squadra che deve crescere fino a tornare, come si diceva, promettente e vincente.

16/11/10

Pastore-Di Natale, gemelli diversi

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Quasi senza aspettarselo ha incassato i complimenti niente di meno che da Leo Messi in persona, da uno dei giocatori più forti al mondo, stella incontrastata del calcio argentino e del Barcellona. La pulce ha conosciuto il Flaco solo in Nazionale, agli ultimi Mondiali dove ne ha potuto ammirare le doti. Quando giocava all'Huracan Pastore era una delle tanti giovani promesse, un enganche, come dicono in Argentina, un talento di quelli spesso troppo presto promossi al ruolo di campioni o eredi di questo o di quell'altro fuoriclasse e troppo spesso bruciati da responsabilità e paragoni.

Pastore no, gli sprazzi di classe li aveva mostrati già nella passata stagione a Palermo, mancava quella continuità data dalla perfetta integrazione nel calcio italiano. Doveva capire il meccanismo prima di dettare la sua leadership in campo. Per tutti un po' Zidane, un po' Kakà, per i tifosi del Palermo solo Pastore "lo smilzo", questo seignifica el flaco in italiano. La falcata di una gazzella, l'eleganza di una tigre e la rapacità di un'aquila come quella disegnata sul simbolo dei rosanero.

I tre gol al Catania nella sfida più importante in terra sicula hanno soltanto contribuito ad aumentare la popolarità e la quotazione di un calciatore che, dispiace doverlo dire per i tifosi palermitani, è destinato nel giro di un paio d'anni ad emigrare verso altri lidi. Barcellona, Milan, Real Madrid, Manchester United, tutte le grandi d'Europa vorrebbero averlo in squadra eppure lui, forte intanto dei sette gol in campionato, ha deciso di voler lasciare prima il segno a Palermo.

A Delio Rossi va il merito di averlo spostato qualche metro più in avanti, dietro la punta, senza imbrigliarlo nelle strette marcature che spesso gli avversari riservano ai trequartisti. Per questo è diventato più decisivo anche in zona gol e non soltanto come assist-man. Nella scorsa giornata è stato il mattatore nel derby, un mattatore che ha diviso il trono con un altro giocatore che infiamma la piazza, quella di Udine e che avrebbe, se lo avesse voluto, potuto scegliere ancora il bianconero, ma quello della Juventus.

Antonio Di Natale è stato il trascinatore della squadra di Guidolin quando un mese e mezzo fa i friulani erano ultimi in classifica e tanti avrebero rinfacciato a Totò l'errore di non essere andato alla Juve. E invece, da buon napoletano, Di Natale ha scommesso su se stesso e, per il momento, scongiuri possibili, sta avendo ragione.

Cinque gol in campionato, due in meno di Pastore, ma per la sua squadra una risalita imponente e il settimo posto, guarda caso, proprio a pari punti con il Palermo. La delusione del Mondiale sudafricano sembra lontana, la Nazionale ormai è un'esperienza passata perché a 32 anni è giusto concentrarsi su un finale di carriera che può regalare ancora qualche piccola soddisfazione. Tra Antonio Di Natale e Javier Pastore ci passano 12 anni, ma il tasso di qualità calcistica è più o meno equivalente. La differenza però sta tutta nel tempo, quello che il Flaco ha davanti a sé e che Totò si è inevitabilmente lasciato alle spalle.

05/11/10

Derby, un Greco nella lotta romana. Ranieri tentato

Alla sua età Daniele De Rossi era già diventato campione del mondo e di presenze in Champions League ne aveva collezionate a decine. Leandro Greco è il giocatore che non t'aspetti, il classico coniglio dal cilindro tirato fuori in mezzo alle difficoltà tecniche, fisiche e psicologiche. E' stato lui l'eroe della serata di Basilea, un gol, il primo in Champions, segnato a 24 anni e 120 secondi dopo il suo ingresso in campo, che ha risolto una situazione che poteva essere complicata per la sua Roma (è del quartiere San Basilio), la società che lo ha sempre considerato una promessa non mantenuta da spedire di qua e di là come un pacco postale tra squadre di provincia e di serie B come Verona, Pisa e Piacenza, presso le quali ha collezionato 49 presenze con 3 reti all'attivo.

Il ritorno alla corte di Ranieri è stato quasi un obbligo derivato da un contratto in scadenza 2012 a 150mila euro all'anno: non proprio un ingaggio faraonico, ma con la maglia della Roma addosso si sta bene anche così. L'occasione l'ha aspettata, desiderata, sin da quando in estate, con un gol in amichevole al Paris St. Germain nella regale cornice del Parco dei Principi, aveva dimostrato al tecnico che la squadra avrebbe potuto contare su di lui. Un talento sbocciato in ritardo, uno che ha conosciuto presto l'imprevedibilità della vita come quando nel 2005, solo 19enne e con un futuro da grande del calcio, venne colpito da un'infezione che lo tenne lontano dai campi per ben 5 mesi che gli costarono 10 chili in meno e un mese di ospedale.

Cinque anni dopo, alla vigilia di un derby da giocare senza il suo capitano Totti e senza quel Pizarro da cui ha un po' carpito il mestiere di centrocampista molto tecnico (ma per molti un po' fragilino), la candidatura per un posto da outsider se l'è guadagnata sul campo. E un Greco nella "lotta" più romana della storia recente non ci starebbe per nulla male.

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