26/04/12

Bayern-Chelsea, una finale legittima. La vittoria del coraggio sull'ostinazione


Non strabuzzino gli occhi, non gridino allo scandalo. Non mettano davanti la bellezza, o presunta tale, del gioco, non dicano più che il Barca o il Real "sembrano poterti fare del male in qualsiasi momento della partita". Sensazioni, nulla più, che non contano niente perché questa Champions, questo epilogo, questo Bayern e questo Chelsea sono entusiasmanti proprio perché la finale di Monaco non sarà nulla di quanto previsto. E' la svisatura che dà valore a un assolo, la voce urlata contro il vento di chi credeva che il successo in queste due semifinali fosse predeterminato dall'appartenenza a un certo rango, quello dei marziani o dei galacticos.

Quanto è accaduto nelle due nottate spagnole, per una volta, e una sola, accomuna Barcellona e Real Madrid. La sconfitta dell'ostinazione e la vittoria del coraggio. Quello che ha avuto il Chelsea al Camp Nou una volta rimasto in dieci e andato sotto di due reti, lo stesso che il Bayern ha mostrato subendo gli schiaffi durissimi degli uomini di Mourinho prima di rimettersi in carreggiata e dominare il secondo tempo per poi finire l'avversario nell'agonia della lotteria dei rigori. E' stata la vittoria dell'umiltà sulla superbia: Di Matteo ha avuto la consapevolezza di dover utilizzare al meglio i mezzi a propria disposizione a costo di penalizzare qualche singolo (Drogba nel doppio ruolo di terzino-attaccante), sacrificato sull'altare dell'importanza del collettivo. Il pur ottimo Guardiola non ha avuto la scintilla per correggere, aggiustare, una filosofia di gioco, quella del tiki-taka che se esasperata diventa parodia di se stessa. Nel calcio occorre metterla dentro, anche con un po' di fortuna, questo resta lo scopo.

E' stata la vittoria di chi porta cicatrici profonde, come quella scavata sul volto di Ribery, meno decisivo al Bernabeu ma preziosissimo nel match d'andata, o quella finalmente rimarginatasi nel cuore di Drogba, dopo la scandalosa eliminazione del 2009 proprio per mano blaugrana. E' stata l'apologia della solidità fisica, che Chelsea e Bayern hanno dimostrato di possedere in maniera nettamente superiore a Barcellona e Real, ingrediente necessario per supportare la tecnica. E' stato il successo di un modo diverso di interpretare il gioco, che come la vita o l'arte può essere opinabile ma non per questo meno efficace. Molto è stato deciso dalle scelte di Di Matteo e di Heynckes di andare a conquistare gli spazi, dunque i gol, alle spalle degli avversari evitando il muro contro muro.

Ce l'ha fatta chi doveva ribaltare il pronostico, chi era considerato più debole. In fondo ognuno ha un piccolo Davide dentro di se e combatte contro il suo gigante Golia. Per questo Bayern-Chelsea è una finale legittima, meno Clasica, magari più bella.

24/04/12

Una Bella ragione per buttarsi a sinistra

Buenos Aires Ovest,  il mercado di Liniers assomiglia alla borsa di New York: si urla, si acquista, si vende. Se sono le azioni a monopolizzare l’attenzione dei broker impegnati nella Grande Mela, in Argentina gli agricoltori la fanno da padrone: in questo barrio si offre per lo più del bestiame, le trattative sono infinite, a volte accade che si scatenino vere e proprie risse tra acquirenti e venditori. Eppure è il quartiere dove molti club europei hanno trovato pane per i loro denti ingaggiando campioni talentuosi e al tempo stesso tosti, induriti da un ambiente in cui sono cresciuti senza avere nulla in regalo.

Cambia la doppia consonante e il Paese d'origine ma non il passaporto: quello è italiano. Nello scorso appuntamento avevamo parlato di Daniel Bessa, talentino dell'Inter, come possibile e appetibile colpo di mercato. Dal Brasile all'Argentina il passo è stato breve, il nome simile, la qualità pressoché identica ma la posizione in campo differente. Fino a qualche tempo fa Ivan Bella era un ragazzo della Pandilla, la parte più calda del tifo del Velez Sarsfield, il centenario club che porta il nome dell’autore della prima bozza del codice civile argentino.

Sarà per questo che la disciplina, più che la classe, ha da sempre caratterizzato il Fortìn (il soprannome del club) anche quando, durante gli anni ’90 con Carlos Bianchi alla sua guida, sfilò una Coppa Intercontinentale al Milan di Capello. Oggi El Gaìdo Bella è un centrocampista esterno sinistro dal futuro radioso.  Gioca prevalentemente con una linea a  quattro anche se spesso il suo attuale tecnico Gareca (non Careca) lo ha schierato  come interno in una mediana a tre. La potenza e la precisione del suo tiro ricorda molto da vicino quella del Chino Recoba. Un classe ’89 tutto istinto da disciplinare in caso di approdo nel calcio italiano.

Ultimamente dal fiorente settore giovanile del Velez è stato Pasquale Marino, il direttore sportivo dell’Atalanta, a pescare il Jolly ingaggiando Maxi  El Fraschito Moralez,  e l’operazione potrebbe presto ripetersi.  Bella, in questa stagione ha totalizzato 31 presenze e 6 gol e una quantità infinita di assist. La Dea ha già messo gli occhi su di lui  e potrebbe presto finalizzarne l’ingaggio. Non ha ancora debuttato nella nazionale argentina, una sua convocazione nell’Albiceleste ne farebbe aumentare sensibilmente la quotazione. Per ora il suo costo si aggira sui 2,3 milioni di euro, prezzo decisamente al di sopra delle possibilità di Sassuolo e Modena. In questo caso però le intenzioni di Marino, che vorrebbe testare il calciatore nella realtà dei campionati nostrani per un anno, e dei due club emiliani potrebbero convergere in un prestito secco.  A quel punto la vita di Sassuolo o Modena potrebbe davvero essere Bella.

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17/04/12

La scommessa è Bessa, piccolo brasiliano d'Italia

“Bessa, Bessa, assim vocé mi mata…”, sarebbe il coro più adatto da intonare a un nuovo beniamino il cui nome s’inserisce a meraviglia in un’ipotetica revisione della partitura ideata da Michel Telò nel tormentone musicale che ha caratterizzato gli ultimi mesi del calcio giocato, o meglio esultato. Neymar ha pubblicizzato i passi di danza di questo brano, in Europa non c’è stato giocatore in ogni campionato che non ne abbia replicato l’uso. In Italia, all’Inter, c’è il possibile destinatario dell’incitamento. Daniel Bessa è uno dei talenti più puri che il calcio giovanile nostrano vanta di annoverare. E’ insieme a Lucas Piazon, precoce fenomeno del Chelsea, già inseguito dalla Juventus, la prova provata che il futsal brasiliano è spesso propedeutico al calcio.


Per questo classe 1993, con passaporto tricolore, il Curitiba è stato la palestra, l’Atletico Paranaense il club a garantirgli una chance a un certo livello, la mamma la sua tifosa più accanita e al tempo stesso il suo agente più convincente. La leggenda narra che sia stata proprio lei a indurre il talent scout nerazzurro Pierluigi Casiraghi a puntare su questo bambino-prodigio. Eppure ad Appiano Gentile, dopo aver mostrato sprazzi di classe cristallina, la sua mente, dunque il suo talento, è stato oscurato dalla preoccupazione per la mamma malata di tumore e poi guarita una volta giunta in Italia

Da allora Bessa, che non trovò molto spazio nella Primavera di Pea, è stato decisivo nella formazione che solo qualche settimana fa si è laureata “campione d’Europa” di categoria con Stramaccioni tecnico, deliziando la platea tra no-look e visione di gioco fuori dal comune. E’ un trequartista che può agire anche da seconda punta. Per qualcuno sarebbe già pronto al grande salto, molti lo hanno designato come il possibile e immediato erede di Wesley Sneijder, convinti che l’olandese sarà ceduto a fine stagione. Ipotesi tutt’altro che campata in aria, quest’ultima, ma la prima sì. E non perché con ogni probabilità non sarà Stramaccioni a guidare i nerazzurri nel prossimo campionato, ma soprattutto perché Bessa necessita di un rodaggio continuativo nel calcio dei grandi prima di esserne parte integrante in pianta stabile. Si eviterebbero le false illusioni costruite sul pur bravo Coutinho che tornerà fortificato dal prestito all’Espanyol.

Appunto, un prestito, la formula giusta che potrebbe valere un anno di magie firmate Bessa. Magari Pea penserà di dargli una nuova chance con il suo Sassuolo o, perché no, il Modena provare a convincere l’Inter che un periodo in Serie B potrebbe giovare al ragazzo. D’altronde il Milan ha deciso di puntare su El Shaarawy dopo una stagione trascorsa al Padova. In ogni caso Bessa invoglia: “…Ai se eu te pego”.

10/04/12

Il male oscuro di Pato, si chiama Prp l'ultima chance

Guarirà? Tornerà davvero più forte di prima come il Milan dice? Dubbi, perplessità, qualche segnale di rassegnazione e un'unica certezza: si sonderanno tutte le strade della medicina traumatologico-sportiva per riconsegnare ad Alexandre Pato il calcio e al club un patrimonio improvvisamente perduto... LEGGI L'ARTICOLO SU Sky.it

Un ministro della difesa, l'affare si chiama Coly

Se ci provaste, vi servirebbero quasi tre giorni, ma si potrebbe fare, perché la determinazione abbatte le distanze, rende le cose improbabili un po’ più possibili. Da Dakar, in Senegal, a Parma corrono 5.470 chilometri di strade più o meno accidentate, una tappa in traghetto da Tangeri a Tarifa e l’attraversamento di ben quattro Stati: Mauritania, Marocco, Spagna e Francia. Farsi tutto il viaggio in automobile è un’impresa ardua, in aereo sarebbe meno complicato. Ma Mohamed Abdourammane Coly non ha preso nessuna scorciatoia, la via l’ha percorsa tutta.

Dalle giovanili dell’As Douanes, squadra della capitale senegalese, fino, appunto, al Parma dove nel 2000, a 16 anni, aveva creduto che il cammino avesse svoltato nella direzione giusta. E’ stato così per tre anni, fino alla Primavera, ha fatto in tempo a conoscere e a carpire qualche segreto al suo idolo Lilian Thuram, salvo poi dover proseguire la rincorsa alla serie A mai arrivata. L’Uso Calcio, in serie D, lo ha fatto esordire nel calcio dei grandi, la Cremonese tra i professionisti, ma una sola presenza in due anni lo ha indotto a cambiare aria. Ancora in Emilia con le maglie di Castellarano, Crociati Noceto e Rodengo Saiano. Sempre titolare, baluardo di difese impenetrabili, tre gol in Seconda Divisione per destare l’attenzione del Varese con il salto in serie B a portata di mano. Nulla da fare. E’ stato il Taranto a credere nelle sue doti fisiche, tecniche e tattiche.

Un colosso di 1 metro e 81 capace di giocare da centrale in una difesa a quattro o a tre, all’occorrenza anche incursore di fascia destra, proprio come l’ex juventino e nazionale francese Lilian Thuram al quale somiglia per movenze e caratteristiche tattiche. Negli ultimi due anni è stato il perno della difesa sulla quale i rossoblù jonici hanno costruito annate di vertice e nell’attuale stagione grazie al suo apporto, a lungo, la squadra di Dionigi è stata la meno battuta di tutti i campionati professionistici d’Europa.
Come se non bastasse, la sua pericolosità in fase offensiva è diventata una delle sue peculiarità: tre gol in stagione lo hanno reso temibile nelle incursioni in territorio nemico, specie sui calci piazzati. Alla luce dello 0-0 nel derby, Sassuolo e Modena sembrerebbero non avere necessità di difensori, uno sguardo più generale ai gol subiti, soprattutto dai canarini, indurrebbe il club a farci un pensierino.

Il costo del cartellino non è eccessivo, intorno ai 500mila euro, ma servirà sborsarli tutti: il suo contratto scadrà solo nel 2015.

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03/04/12

Braveheart Pascali, l'italiano mito di Scozia

Parlandoci per un po’, ripercorrendone la carriera, valutando ciò che è stato e ciò che è, rivisitandone i sacrifici, le illusioni e oggi, finalmente i trionfi, la mia mente mi riporta alla scena di un film bellissimo, travolgente. “Fra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi, per avere un'occasione, solo un'altra occasione, di tornare qui sul campo? (…)” disse il patriota William Wallace all’esercito scozzese intimorito dalla cavalleria inglese nell’imminente battaglia di Stirling Bridge, nei pressi di Falkirk. Credo, anzi ne sono sicuro, che Manuel Pascali sia un moderno “Braveheart”, un condottiero, il leader, il capitano del Kilmarnock Football Club, la squadra più antica di Scozia.

Un cuore impavido che ha saputo, a un certo punto della sua carriera, vincere l’illusione e la delusione della massima serie mai arrivata nonostante, dopo le stagioni vissute tra Alessandria, Pizzighettone e Carpenedolo, fosse stato acquistato dal Parma nel primo anno di Ghirardi presidente, ma mai sceso in campo, rispedito, come il più banale dei pacchi postali, in prestito al Foligno in serie C. Tutto da rifare. La voglia intatta di dimostrare di valere, il consiglio e l’aiuto di Sergio Porrini, già giocatore dei Glasgow Rangers, per sostenere un provino a Kilmarnock, fredda e umida cittadina dell’East Ayrshire. Un contratto nella Scottish Premier League guadagnato con quelle armi che ne hanno fatto un punto di riferimento dei Killies: quantità, grinta, geometrie, pochi gol, ma pesanti come macigni. La gloria definitiva è giunta lo scorso 27 novembre con un colpo di testa all’indietro che ha inflitto la prima sconfitta da 33 anni ai Rangers ospiti a Rugby Park. Idolo. Poi l’infortunio che gli è costato il resto della stagione ma che non gli ha impedito di sollevare la Coppa di Lega vinta da capitano non giocatore ad Hampden Park contro il Celtic, la prima della storia per la sua squadra.

A giugno, o magari anticipando i tempi, questo è l’augurio personale, sarà di nuovo tirato a lucido. Poi si aprirà il mercato, il suo contratto è in scadenza, un parametro zero pronto ad accettare una nuova sfida. La giusta occasione per tornare su quel campo, proprio come Wallace aveva chiesto ai suoi soldati, dove quel sogno (con il Parma) era svanito e dove, grazie a Sassuolo o Modena, potrebbe ancora realizzarsi.

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