29/02/08

KAKA', GARANZIA DI VITTORIA

Al Milan sono abituati alle bandiere e Paolo Maldini è l'esempio che più di tutti incarna la filosofia rossonera di tenere i grandi campioni in modo tale da diventare parte integrante di un progetto vincente e duraturo negli anni. La vicenda che ha portato all'addio di Andriy Shevchenko ancora scotta e, questa volta, il club di via Turati non ha ripetuto lo stesso errore con Kakà. Il brasiliano sarà il simbolo del nuovo Milan che vuole continuare a vincere in Europa, in Italia e nel mondo. Il prolungamento del contratto ha un significato intrinseco che è fin troppo facile capire. Non solo si tratta di mantenere in squadra il giocatore migliore al mondo, ma Kakà in rossonero è sinonimo di vittorie. La corte serrata del Real, al talento milanista, e l'interessamento del Chelsea sono state battute grazie alle 'promesse' fatte dalla società al giocatore che, per legarsi così a lungo, ha avuto garanzie ben precise di una squadra altamente competitiva.In questa prospettiva, infatti, Champions o meno che sia, il Milan baderà a rinfoltire la rosa con innesti benché mirati, tuttavia volti a ringiovanire una squadra che ha già iniziato il suo svecchiamento. L'attacco è esemplare in questo senso e se Inzaghi resterà sempre il SuperPippo rossonero occorre, intanto, cercare una punta per sostituire Ronaldo. Al di là di quelle che potrebbero essere le soluzioni interne (Borriello), gli occhi sono spostati all'estero. Drogba è uno dei sogni di Galliani, Amauri è uno dei pretendenti a vestire il rossonero, mentre l'outsider è il "sivigliano" Kanoute. Messo a punto il reparto offensivo, resta da sistemare certamente la difesa. Con Zambrotta praticamente già rossonero, Ferrari potrebbe essere l'uomo che andrebbe a sostituire Maldini, mentre la grana portieri sarebbe risolta dall'ingaggio di Frey, nella probabile trattativa tra Milan e Fiorentina per Gilardino.Insomma, il rinnovo di Kakà ha scatenato la società rossonera, desiderosa di consegnare al suo fuoriclasse, uomo simbolo e, forse, futuro capitano, una fuoriserie in grado di bruciare gli avversari.

27/02/08

TALENTO, NO DOPING

E' l'ultimo ritrovato in tema di miglioramento delle prestazioni, niente ritiri al caldo, nessuno sforzo fisico particolarmente duro, ma solo una 'seduta', nel vero senso della parola, nella camera ipobarica. Strumento utile alla scienza medica per curare determinate malattie la 'magic room' lascia perplessi, addirittura sgomenti se si pensa alla ricerca di qualsiasi artifizio pur di migliorare le prestazioni in campo. Siamo certi che Raul non abbia bisogno di ossigenare i muscoli per rendere al meglio, né i giocatori del Tottenham per vincere la Carling Cup. I successi sono figli di sudore e fatica, non di abitudine a condizioni climatiche diverse, estreme, oppure a una maggiore o minore capacità di assorbire l'acido lattico. E' vero, la camera ipobarica può essere considerata un aiuto esterno e per questo, come le discusse gambe di Pistorius, essere ricompresa nella fattispecie degli ausili tecnologici che valgono quanto il doping. L'accanimento nella ricerca di metodi quali surrogati delle prestazioni degli atleti, in special modo nel calcio, benché da stigmatizzare, lascia il tempo che trova se non supportata, da capacità tecnica dei singoli, gli stessi vittime di un sistema che richiede prestazioni sempre al massimo o anche oltre le loro possibilità, quel meccanismo che non considera i piedi buoni, il talento e la classe come elementi determinanti del gioco, forse soltanto perché sono componenti che non possono essere dopate. O le si ha o ci si arrangia.

26/02/08

KAKA', BOTTE DA ORBI

Uno studio per dimostrare come ci sia un disegno premeditato per limitare Kakà nelle sue giocate, per non permettergli di esprimersi al meglio, interrompendo la sua azione attraverso trappole architettate sapientemente e messe in atto in modo tale da non incorrere in sanzioni particolari. Tutto ciò sta, secondo una riflessione del sito del Milan, alla base dell'infortunio di Kakà, maltrattato dagli avversari e non tutelato da arbitri che non puniscono a dovere entrate portate appositamente sul brasiliano per restringerne la pericolosità d'azione. Prese ad esempio le ultime gare di campionato disputate dall'asso brasiliano, nelle quali si contano diversi interventi (almeno tre) nella prima mezz'ora di gioco, tutti con la stessa caratteristica: entrate al limite sul piede d'appoggio i cui autori sono sempre diversi.Qui parte la denuncia dei rossoneri secondo cui esista una 'strategia' verificata proprio dal fatto che mai per due volte consecutive è lo stesso giocatore a picchiare duro. E se gli arbitri "sorvolano bellamente" su queste entrate, l'accusa è indirizzata anche ai singoli avversari che assumono, nei confronti del Pallone d'Oro, un atteggiamento intimidatorio allo stato puro. Viene richiamato un intervento di Carrozzieri, in Atalanta-Milan (gara sospesa) dopo pochissimi minuti. Di qui ancora l'indice puntato sui fischietti che, poi, quando è il brasiliano a commettere un fallo da dietro, e nemmeno cattivo, segno inequivocabile di frustrazione, sono pronti a mostrare il cartellino giallo.La conclusione è che i 'carnefici' vengono perdonati e, dunque, tutelati rispetto alla vittima che viene definito un "giocatore braccato, sottoposto ad agguati continui". La denuncia è forte e confortata anche dalla necessità di limitare, e non solo in Italia, il gioco duro e antisportivo (Eduardo dell'Arsenal insegna), perché una domanda nasce spontanea a Milanello: fino a quando durerà questa situazione?

21/02/08

ATTACCO LASER AL CALCIO

Tutto il mondo è paese e non solo l'Italia è solita distinguersi anche e purtroppo per fenomeni antisportivi. Il fair play è un concetto non ancora compreso in pieno in molti degli stadi europei. Un problema generalizzato e che non conosce genitori se non quelli della stupidità di quanti ritengono un'arma danneggiare illegalmente l'avversario. Scene che si sono ripetute sempre più di frequente in tutti i campionati e in tutte le manifestazioni. Un vero e proprio attacco nei confronti di portieri e giocatori più pericolosi. E' accaduto a Jens Lehmann che nella gara tra Germania e Austria a Vienna ha dovuto fare i conti con una lucina verde puntata negli occhi in occasione di calci piazzati e tiri dalla biandierina. Lo stesso lo ha sperimentato, a dicembre dello scorso anno, Domenico Morfeo in quel di Napoli e che dire di Didier Drogba che inseguito dal "pointer" nella gara con il West Ham di qualche tempo fa ha anche rimediato un infortunio al ginocchio. L'ultimo episodio di tal fatta è accaduto a Lione, vittima Cristiano Ronaldo. Il Manchester ha già fatto presente il problema all'Uefa che potrà anche valutare eventuali sanzioni nei confronti della società francese.Il fatto, al di là del divertimento, stupido e certamente da stigmatizzare è preoccupante. Infatti, le penne laser che vengono utilizzate costano poche decine di euro, sono piccole e difficile da trovare ai controlli all'ingresso degli stadi. Per questo è necessario vagliare a fondo la situazione affinché si possa bloccare sul nascere questo assalto tecnologico al calcio.

IN EUROPA POCHI APPLAUSI PER IBRA

Ci si aspetta che la qualità di un giocatore importante emerga nelle sfide che contano, quando il leader di un gruppo, in quanto tale, è obbligato a prendere la squadra per mano e a condurla, o almeno provarci, alla vittoria. Questo doveva essere il compito di Zlatan Ibrahimovic nella serata di Anfield. Speranza che è andata disattesa per mille motivi e se, da una parte, resta la giustificazione di aver dovuto affrontare tre quarti di gara con l'uomo in meno, tuttavia lo svedese si è mostrato recidivo nei flop nelle grandi sfide in Champions. Successe già in due occasioni con la maglia della Juve, si è ripetuto per la seconda volta con il Liverpool in nerazzurro. Se poi ci si mette che la squadra è stata, in parte anche contestata, al ritorno, in aeroporto, qualcosa non torna.Anche l'anno scorso, a Valencia, lo svedesone non riuscì a garantire ai compagni quelle giocate che, spesso e volentieri, ne contraddistinguono la classe entro i confini nazionali o anche nelle prime fasi della manifestazione più importante d'Europa. Rendimento non all'altezza, invece, quando si tratta di gare da dentro o fuori e per lo più contro avversari di grande tradizione. Nel 2005, con la Juve, ancora il Liverpool fu a frenare l'esplosione di Ibra, nel 2006 ci pensò l'Arsenal. Dopo Valencia, per Ibra è tornato l'incubo "Reds", per superare l'empasse si attende una grande prova al ritorno, l'occasione giusta per consacrarsi leader anche nelle grandi sfide e legittimare la sua voglia di Pallone d'Oro.

20/02/08

ZILIANI, CI LASCI SOGNARE CON RONIE

Forse è vero che non tornerà, forse sarà costretto ad abbandonare di fronte all'evidenza di un infortunio che non gli concederà più la capacità di essere il Fenomeno di un tempo. La realtà delle cose è cruda, ruvida e a volte fin troppo dolorosa. In qualche intervento, molto realista, ma forse poco opportuno se riferito a chi nel calcio ci vede la realizzazione di un sogno, è stata posta la domanda se sia veramente giusto incoraggiare Ronaldo a rientrare in campo. L'affetto che i tifosi e gli addetti hanno mostrato nei confronti del dramma del brasiliano è considerato banale quando soltanto la volontà di discostarsi da un'opinione condivisa per apparire diverso da quella che viene considerata la massa sembra più foriera di successo. Non è così perché chi ha giocato a calcio, e a maggior ragione ai livelli di Ronaldo, non vorrebbe mai smettere. Ronie non è più lo stesso dalla fine del Mondiale nippo coreano e forse da ancora prima, ma tutti, e dico anche chi ora vorrebbe sopprimerlo come i cavalli "azzoppati" ne ammirava comunque gesta se non cantate attraverso lo scatto fulmineo, le cavalcate di 50 metri, comunque degne di un campione appesantito sì nel fisico ma non nella classe e nel talento. Il crudo e terribile realismo lasciamolo ai disastri che la vita quotidianamente ci propone, le opinioni controcorrente e fragorosamente recapitate solo per spirito di contraddizione e biecamente utilizzate come fionda per sovrastare un sentimento generalmente condiviso siano messe da parte. In fondo nel calcio si vive di sogni e imprese impossibili, di cadute e clamorose rinascite, caro Ziliani, proprio lei, esimio collega e bravissimo giornalista, non macchi questo mondo che proprio in quanto tale ci fa uscire, qualche volta, dalla grettezza di ogni giorno, ci lasci sognare e con noi Ronaldo, ancora per un po'.

CHAMPIONS, TUTTA UN'ALTRA STORIA

Sarà l'aria europea, sarà il timore reverenziale che città storiche, di tradizione calcistica indiscutibile genera, sarà anche perché in alcuni stadi non è proprio facile giocare, fatto sta che la coppa dalle grandi orecchie assume caratteristiche diversissime rispetto alle gare entro i confini nazionali. Presuppone un diverso modo di preparare la gara e perché no obbliga a essere spregiudicati per prevalere sull'avversario. Non serve accortezza, per carità in senso lato, viene premiata chi tra le due contendenti riesce a dare al gioco la propria impronta, incanalandolo nella propria direzione, accaparrandosi la lealtà della palla che fa più o meno quello che si vuole. L'inferno di Anfield Road l'Inter lo ha vissuto da vicino, come 43 anni fa, come in quell'occasione fu sconfitta ma forse, questa volta, non ci sarà il lieto fine che la squadra del mago Herrera seppe tirare fuori dalla nottata di San Siro. Un'Inter troppo fragile mentalmente, capace di restare in 10 uomini per due sciocchezzze, benché esageratamente punite da De Bleeckere, ma pur sempre due leggerezze che sono costate molto, anzi, moltissimo. E se a commetterle è uno dei suoi leader conclamati come Marco Materazzi, la testimonianza diventa una prova di fragilità psicologica che in Europa si paga. Ibra, vero lasciato da solo contro un intero reparto, non ha inciso, eppure era il più fresco di tutti. Mancini ha, di netto, sbagliato formazione con Chivu a soffrire a sinistra insieme a Maxwell e Stankovic a rincorrere Gerrard e company sulla destra. Insomma, avversari di tutto rispetto, non Pulzetti o Diamanti, non ce ne vogliano i due bravissimi livornesi, campioni che hanno vinto tanto e per questo senza ritrosie di sorta al cospetto di un avversario vincente sì in Italia, ma che in Europa fa ancora davvero troppo poca paura.

18/02/08

QUARANTUNO VOLTE BAGGIO

Non vorremmo mai che il calcio si dimenticasse di uno dei suoi figli prediletti, di quelli che hanno allietato le domeniche di tutti gli amanti di un calcio puro, gioia assoluta, fatto di giocate, colpi di classe, parole pronunciate sottovoce e spazio lasciato alle immagini. Quelle di Roberto Baggio sono ancora vive nella mente, il gol a Van Der Saar contro la Juve, ennesimo colpo di una vita trascorsa a proporre magie, e tutti gli altri 204 che ha segnato in serie A sono lungi dall'essere oscurate. Nostalgia, tristezza se si pensa che il Divin Codino, ormai da 4 anni ha lasciato un calcio nel quale non si riconoscerebbe come ideali, come talento, come lealtà e trasparenza. Quel calcio che Roby ha onorato soprattutto sul campo profondendo insegnamenti, garantendo per uno sport che avrebbe bisogno di personaggi come lui. Oggi, Baggio compie 41 anni, tanti, troppi ne sono passati da quell'esordio del 21 settembre 1986 quando iniziò la favola di colui che da solo seppe conquistare il mondo e che riuscì, in qualche modo, anche se in tempi diversi, a riunire sotto la luce di un talento immenso le tifoserie di Juve, Milan e Inter. Quel Baggio che riuscì a riconquistare la Nazionale perduta, che molti avrebbero voluto vedere ai Mondiali nippo-coreani, ingiustamente negatigli dal Trap. Quel Baggio capace di imprese impossibili, gol straordinari, giocate inimmaginabili che non tradiscono un soprannome che ne racchiude l'essenza assoluta: semplicemente divino.

16/02/08

NEVERENDING...MALDINI

Storie di miti e leggende, quelle che restano indissolubili e refrattarie al trascorrere del tempo, da tramandare ai figli, ai nipoti e a tutte le generazioni che, da qui in avanti, ameranno questo sport. Paolo Maldini è l'icona di un calcio che tiene la testa alta e in cui le bandiere, o presunte tali, finiscono nella ragnatela del business, del calciomercato, tradendo una maglia per cui si è vissuto. Non lo ha fatto il capitano rossonero, anzi ha ribadito la sua appartenenza a una e una sola squadra attraverso il traguardo delle mille partite, nuovo battesimo che lo consacra, definitivamente, re dei re milanisti. Una condizione non più eccezionale, ginocchia che fanno le bizze, eppure Maldini è ancora in campo a 39 primavere e mezzo suonate. Questo sarà l'anno in cui dirà addio al calcio giocato e porrà fine, sembra un paradosso, alla sua storia infinita, salvo voler celebrare l'addio con l'ultima ciliegina sulla torta: finale di Mosca e Champions League.Entusiasmo da vendere, capacità di rimettersi in gioco, sempre e comunque, anche di fronte a aitanti e baldi giovani. "L'entusiasmo deve esserci per forza, altrimenti non giochi con ragazzi molto più giovani", ha precisato. Lui l'età non la sente né nell'animo, né nella testa dall'alto dei suoi trofei, della sua saggezza di uomo guida per i compagni, a tutt'oggi, anche quando in campo si sente la sua mancanza e, inevitabilmente, ci si accorge di quella presenza, così rassicurante, mitica, talvolta, addirittura ingombrante.

15/02/08

ACCECANTE E CARNEFICE, SEMPRE SPORT

Catalizzatore di successi, volano per una vita agiata garantita da sponsor e lauti ingaggi. Le luci della ribalta addosso consentono di vivere al caldo in un mondo, per molti, costituito dal gelido squallore della vita quotidiana. Le stesse luci, così fiammanti, rischiano però di bruciare quanto di buono costruito e quando si spengono non possono, a volte, che lasciare cenere, quella cenere da cui qualcuno è rinato e che in molti, invece, hanno utilizzato come materiale per seppellire la propria storia. Le vicende umane e sportive di Agostino Di Bartolomei, quella di Florence Joyner Griffith passando per Eddie Griffin fino a giungere a Myke Tyson o Diego Armando Maradona testimoniano come lo sport possa presto tramutarsi da un momento di affermazione a carnefice. E' stato così per Pantani, di cui in questi giorni si ricorda la tragica fine, a cui molte storie sono simili e diverse, dal finale drammatico alcune, dalla conclusione felice altre. Agostino Di Bartolomei è stato la bandiera della Roma per lunghi anni, a quella maglia aveva dedicato la vita fino a quando, l'allora società giallorossa, fu costretta a venderlo al Milan per risanare le casse della società: una carriera conclusa nel 1990 con la maglia del modesto Cesena. E proprio quando il calcio si era dimenticato di lui, uno sparo lo riportò alla ribalta delle cronache: il 30 maggio 1994 Di Bartolomei si puntò una pistola al cuore e abbandonato dagli ex compagni scrisse la sua fine: "Mi sento chiuso in un buco".Una botola nella quale cadde, in altro modo, Florence Joyner Griffith, la Marilyn Monroe nera, dea delle piste. La donna capace di correre i 100 metri in 47 passi e mezzo con un tempo ancora insuperabile di 10"49, ripudiata dal suo sport, accusata di abuso di sostanze illecite e "costretta" a ritirarsi dopo i giochi di Seul a soli 29 anni. Dopo lo scandalo Ben Johnson e l'ipotesi circa tracce di doping in relazione alla velocista americana, il Cio le avrebbe intimato di abbandonare la scena. Un'ipotesi che si verificò con l'addio di Jo-Flo alle corse, così inspiegabile come la morte che la colse a soli 38 anni nel sonno, soffocata dall'epilessia per molti, una fine discussa da troppi. Vita tormentata, quella del cestista statunitense, Eddie Griffin, talento puro e cristallino, incapace di gestire fama e successo. Esistenza spesa tra cliniche e allenamenti saltati, alcol e droga che gli sono costati la tragica fine in un incidente stradale a soli 25 anni accecato, a dordo del suo Suv, dalla luce di una stella che doveva presto tramontare.Non è finito nell'oscurità delle tenebre, invece, Salvatore Antibo, fondista italiano che infiammò, tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90, le platee azzurre dell'atletica. Fisico asciutto, un keniota bianco quanto a resistenza sulla lunga di stanza. Il Totò che esaltava il pubblico d'Italia e che a Seul riuscì a conquistare uno storico argento nei 10.000 smise per una grave forma di epilessia che lo colse proprio durante la finale dei mondiali a Tokyo nel 1991. Ora il mitico Antibo è pensionato dello Sport grazie a un vitalizio accordatogli dal Coni molti anni dopo, e che lenisce solo un po' le ferite che l'atletica gli ha procurato, infischiandosi per anni della sorte di uno dei suoi figli prediletti.Drammi sportivi che riportano alla crudezza dello sport, così cinico, nel quale la forza per risollevarsi deve venire da chi è stesso protagonista. Lo sport, a volte, uccide, ma attraverso esso si può cercare la rinascita. E' stato così per Jennifer Capriati, baby prodigio del tennis mondiale, già nel circuito Wta a 13 anni e 11 mesi. Troppo piccola per non essere stritolata dai meccanismi che regolano il mondo del bussiness, rubata alla gioventù, finita nella droga e nell'abbandono al tennis, lo stesso che l'ha segnata profondamente nel male prima, nel bene poi quando, nel 1999, la vittoria a Strasburgo segnerà l'inizio di una seconda carriera, di una risalita difficile, conclusa nel 2005, senza rimpianti e con immensa soddisfazione. Di risalite ce ne sono state tante, ma come non ripercorrere la storia di Nancy Kerrigan, pattinatrice americana, aggraziata e affascinante, ricordata non solo per i successi ottenuti, tanti, tra Olimpiadi e mondiali, ma soprattutto per la vicenda che visse il 6 gennaio 1994 quando fu aggredita per conto di Tonya Harding, rivale per le imminenti Olimpiadi di Lillehammer. Gambe spezzate, carriera in dubbio, giochi certamente a cui non avrebbe dovuto partecipare non potendo essere in gara ai campionati nazionali. E invece la federazione statunitense fece uno strappo alla regola concedendogli il posto olimpico, ripagato con un argento che ebbe un sapore molto più dolce di una vittoria.Lieto fine, drammi sportivi ce ne sono a iosa nella storia recente. Campioni caduti, talenti dispersi, atleti che hanno saputo trovare la via d'uscita. Storie di sport molto simili alle vicende della vita quotidiana vissuta tra gioie e dolori che rendono un po' più umani gli acclamati Superman, non del tutto invincibili, pronti a fare i conti con la loro criptonite.

14/02/08

RONIE, IL MONDO TI ASPETTA

Un colore della maglia che impallidisce per lo sgomento, per la rabbia, per la disperazione di quell'urlo di dolore assordante, incredibile, incomprensibile. Non doveva essere così, non può essere così eppure la realtà delle cose, a volte, è troppo cruda per essere compresa fino in fondo. Il destino dà, il destino toglie e quello che ha sottratto a Ronaldo è molto più di quanto il Fenomeno ha dato al calcio in questi anni in cui ha saputo trascinare folle, dare lustro a un calcio che perde, troppo spesso e malvolentieri, i suoi talenti più puri. Diverso è quando un campione abbandona per sopraggiunti limiti di età, è stato così per Zidane e Baggio, ma lì c'è una scelta consapevole che non genera rimpianto. Dover dire addio per un fato avverso e per un paio di ginocchia i cui tendini assomigliano molto a sottili stole di seta fa rabbia. Patire un danno, un infortunio, anche grave, è insito nel rischio di chi fa il calciatore ma Ronie ha già dato, il dazio con l'invidia per il suo talento doveva essere già saldato e invece un nuovo, terribile, ostacolo gli si è parato davanti. L'ultima volta, il Fenomeno si comportò come tale non solo nella guarigione ma anche una volta tornato in campo. Con il suo Brasile, in Corea e Giappone si prese il mondo, quel mondo che ora è in ansia per lui e che vorrebbe urlare tutta la sua rabbia, ma che preferisce, più pacatamente, dire: "Coraggio Ronie, ce la farai anche questa volta".

13/02/08

ECCO TRAPATTONI L'IRLANDESE

Una nuova scommessa per porre il sigillo finale su una carriera lunga e vincente, ricca di esperienze professionali tra le più disparate, in Italia e all'estero, sempre con il suo inconfondibile e apprezzatissimo stile. Giovanni Trapattoni ha inaugurato il suo nuovo e ultimo capitolo di una storia che ha dell'invidiabile. Lo scenario è da brividi, la nazionale che si accingerà ad allenare, a partire dalla prossima estate è, tutto sommato, una buona squadra che cercherà innanzitutto la qualificazione ai Mondiali sudafricani per poi dire la sua nella rassegna iridata. Due anni di contratto proposti dalla Fai, la federazione irlandese, giusto il tempo per centrare l'ennesimo obiettivo, ma nel frattempo il Trap cercherà di lasciare un ricordo indelebile anche a Salisburgo con la conquista dello scudetto austriaco per il secondo anno consecutivo.Poi full immersion a Dublino e giro del mondo, specie in Inghilterra, dove giocano diversi nazionali dell'Eire, per costruire la nuova squadra che vanta dei giocatori di tutto rispetto a cominciare da Shail Given, portiere del Newcastle, tra i migliori della Premier League. Tra gli altri spiccano i nomi di O'Shea jolly del Manchester United e Harte, terzino sinistro del Sunderland. A centrocampo Carsley, dell'Everton e Ireland del Manchester City sono le pedine di maggior spicco, senza contare, infine, Robbie Keane (un passato all'Inter ora al Tottenham) e Damien Duff, centravanti del Newcastle attualmente infortunato, ma di sicura qualità.Insomma, per il Trap la scommessa è più che realizzabile dal momento che l'Irlanda, come l'Italia, è inserita in un gruppo non certo irresistibile e che vanta compagini abbordabili come Georgia, Cipro, Bulgaria e Montenegro. Il momento più toccante, per il tecnico di Cusano Milanino sarà certamente il 4 aprile 2009, quando si troverà di fronte quell'Italia che, suo malgrado, non è riuscito a rendere vincente.

12/02/08

COME DI CANIO...MA MISS FAIR PLAY

Un gesto che riporta indietro nel tempo di quasi otto anni, quando il 18 dicembre del 2000, nella gara Everton-West Ham Paolo Di Canio fermò il pallone con le mani anziché procedere al tap-in vincente a porta spalancata a causa di un infortunio occorso al portiere dei "Toffees" Paul Gerrard. Un gesto che gli valse non solo la standing ovation del Goodison Park, ma che permise all'italiano di ricevere il premio "Fair Play" per quell'anno con tanto di riconoscimento scritto a firma di Joseph Blatter. In un'epoca in cui di lealtà se ne vede sempre meno, il comportamento di Di Canio è stato ripetuto. Sport e soggetto completamente diversi, ma stesso significato. E' stata Tonia Cucca, capitano della formazione di pallamano femminile di Sassari, a rendersi protagonista di un comportamento encomiabile. La giocatrice, con la sua squadra in svantaggio, non ha voluto segnare un gol dopo aver visto il portiere del Teramo in difficoltà per aver ricevuto una pallonata al viso.Stop al gioco, applausi e un gesto che, in un momento di crisi dei valori dello sport, induce a far riflettere. La giocatrice ha preferito vincere, come poi è stato, in maniera leale anziché approfittare di una situazione dalla quale tarre vantaggio sarebbe stato sin troppo facile. Un insegnamento che vale molto più della vittoria in campo, un successo morale, una lezione da cui imparare.

10/02/08

PALOSCHI, UNA NUOVA STELLA

In quel gol, forse, c'è scritto il suo destino, perché giocate come quelle e per di più in uno stadio pieno a 18 anni compiuti da un mese, solo i grandissimi sono capaci di metterle in scena. E' stato così per Kakà, la stessa cosa si è verificata con Pato, ora Paloschi che ha passaporto italiano di nome e di fatto, nuova stella pronta a luccicare nel firmamento dei campioni rossoneri. Un esordio così non lo avrebbe mai immaginato, nemmeno nel sogno più bello. La realtà onirica non sa essere, a volte, così perfetta come quella vera, tangibile con mano, bagnata da lacrime, condita da brividi: tutte emozioni provate in rapida successione da Alberto Paloschi, match winner nell'incontro col Siena, nuovo enfant prodige di casa Milan pronto a godersi tutto lo splendore di un momento che ricorderà per tutta la vita. La dedica, doverosa, va alla famiglia, il pensiero, insieme ai piedi deve restare ancorato a terra per non rovinare quanto di buono, finora, il ragazzino ha fatto. E forse, in fondo, una morale si può leggere anche nell'esplosione di una stella che non solo arricchisce il panorama rossonero, ma che alimenta speranze per il futuro dei campioni nostrani, sancendo quel principio già stabilito dai vari Rossi, Lupoli e tanti altri che hanno dimostrato che si può essere grandi anche essendo "indigeni" in una patria che guarda, troppo spesso, al di là di un orizzonte comunque ricchissimo di talento.

IL REAL MOSTRA IL "DENTINHO"

Una ricerca affannosa ai talenti da importare nel vecchio continente, la necessità di non essere da meno rispetto alle altre "big" del calcio europeo. Il Barcellona prima, il Milan poi, lo stesso Manchester United e anche l'Arsenal sono stati capaci di scommettere su giovanissimi terribili che stanno rispondendo alla grande alle aspettative che su di loro avevano avuto le società che hanno effettuato più o meno cospicui investimenti nella speranza che potenziali campioni diventassero leader nelle proprie squadre. E' stato così per Kakà in rossonero, Messi ha garantito il futuro tecnico dei blaugrana che possono contare anche su Giovani e Bojan, Ferguson ha vinto la scommessa Cristiano Ronaldo e Wenger ha messo su una squadra di veri e propri ragazzini terribili.Non poteva esimersi dal rispondere il Real Madrid che, dopo il fruttuoso acquisto di Robinho, ha messo gli occhi su un nuovo fenomeno da importare dal calcio brasiliano. Si tratta di Dentinho, attaccante del Corinthians salito alla ribalta delle cronache relativamente tardi e esploso improvvisamente. 19 anni e un futuro da campione assicurato, giurano dalla Spagna. Le "merengues" avrebbero già avviato la trattativa col giocatore essendo, il costo del cartellino più che accessibile. L'investimento potrebbe essere di soli 2-3 milioni di euro nella speranza che, in futuro, il valore del giocatore si decuplichi. Questa è la speranza della "casa blanca". Scommettere costa poco, la quota è alta, il guadagno, forse, assicurato.

MORATTI, SCEGLI IL REGALO!

Difficile pensare, ad oggi, di dover rinforzare una squadra che sta dominando in Italia e che in Europa, mai come quest'anno, sta lottando alla pari delle "big". Eppure la formazione andrebbe ritoccata, specie nel reparto avanzato dove le prestazioni di Crespo non sono più quelle sugli standard degli ultimi anni, Adriano difficilmente rientrerà alla base e Suazo è ancora da verificare totalmente. Poste queste premesse è ovvio che Massimo Moratti stia pensando al colpo del centenario, il regalo che tutti, addetti ai lavori e tifosi si aspettano. Se giugno resta la data giusta per portare alla luce del sole la sorpresona, i nomi e le ipotesi si susseguono. Il presidente sta ancora sfogliando la margherita e sembra non ancora aver scelto il regalo. Balotelli e un "cadeau" piovuto dal cielo e il patron nerazzurro mente quando dice che il colpo potrebbe essere il giovane attaccante della Primavera. In realtà, le trattative che porteranno un "big" in nerazzurro sono delicate e per questo andranno per le lunghe. Dicevamo, almeno fino all'inizio dell'estate quando, insieme alla torta, comparirà il pacco regalo.Se il non più celato sogno, avallato anche da Roberto Mancini resta Ronaldinho, in rotta con il Barcellona, Cristiano Ronaldo è competitivo quanto a "oggetto dei desideri". Più percorribili le piste che, invece, portano ad Amauri, che a giugno lascerà sicuramente il Palermo, e a Giuseppe Rossi che tanto bene sta facendo nella Liga con la maglia del Villarreal. Insomma, per Moratti c'è l'imbarazzo della scelta e qualunque sia alla fine il regalo, perché tale, andrà comunque accettato di buon grado.

07/02/08

CIAO ITALIA GUARDA COME MI DIVERTO

Sono lontani i tempi in cui lo staff medico della Nazionale riceveva caterve di certificati e il ct pressioni affinché non spremesse troppo questo o quell'altro giocatore. L'inversione di tendenza, inaugurata dal ciclo di Marcello Lippi, si è confermata con Roberto Donadoni nuovo, legittimo, condottiero azzurro. La maglia dell'Italia ha accresciuto il suo appeal e se, qualcuno, ha deciso di non vestirla più poco importa dal momento che tanti, forse troppi, farebbero carte false per entrare in un gruppo che, a circa 4 mesi dall'Europeo, ha mostrato entusiasmo e voglia di divertirsi. I test non sono più un peso, ma veri e propri banchi di prova nel tentativo di conquistarsi un posto al sole agli occhi del ct, nessuno si risparmia, né tira indietro la gamba. In ballo ci sono il prestigio e l'onore della Nazionale campione del mondo e la credibilità del calcio italiano e dei suoi giocatori.Nuovi stimoli utilizzati sapientemente dal ct per ricreare un gruppo vincente, con rinnovate ambizioni. La prova che il tecnico ha saputo allargare la famiglia azzurra a partire dallo zoccolo duro del team di Lippi la si è avuta non solo nelle ultime fasi delle qualificazioni, ma, soprattutto nell'ultima amichevole disputata contro il Portogallo. Ambrosini ha palesemente detto di impegnarsi semplicemente per il divertimento che prova a giocare nel grppo, Amelia ha ringraziato Donadoni per la possibilità concessagli, gli urli di gioia di Quagliarella, la voglia di segnare di Toni, la stima che i compagni ripongono in Pirlo, l'autorevolezza di Cannavaro sono tutti segnali che il gruppo si sta cementando in vista dell'ennesima impresa: la conquista dell'Europa.

05/02/08

OSVALDO E ROSSI, GEMELLI DIVERSI

Cosa dire se non valutare come patrimonio inestimabile i tesori che l'Italia ha la fortuna di avere. Scovati troppo spesso tardi dalle grandi squadre dedite a guardare oltre l'orizzonte che delimita quel serbatoio di talenti che appare sconosciuto. Tutti si intendono di enfant prodige brasiliani, argentini, messicani, tralasciando colpevolmente quanti nel calcio nostrano potrebbero fare la differenza. Giovinco, tanto per citarne uno, Balotelli è l'ultimo conosciuto in ordine di tempo. Due potenziali campioni nelle mani di Juve (proprietaria del cartellino) e Inter. Diversa la storia di chi, invece, ha dovuto emigrare percorrendo in un senso e nell'altro la rotta che li sta consacrando al grande calcio. Giuseppe Rossi è andato via non ancora maggiorenne diventando gioiellino nel Manchester di un certo Sir Alex Ferguson, confermatosi giocatore di livello nel Parma, conquistador nella Liga con la maglia del Villarreal eppure l'Italia lo ha indirettamente ripudiato non riscattando quel cartellino che ora vale tre volte tanto. Lo stesso Paese che, contrariamente, ha conosciuto e adottato Pablo Daniel Osvaldo, astro nascente argentino, naturalizzato italiano, pronto a fare le fortune della Fiorentina che ha visto lungo e lo ha riposto in una campana di vetro in attesa che il fiore del suo talento sbocci definitivamente. Destini diversi, storie parallele e di segno opposto. Non è un caso che entrambi abbiano segnato con la Under di Casiraghi, inaugurando una potenziale e nuovissima coppia di gemelli del gol, così lontani nelle origini, eppure tanto simili nel talento.

04/02/08

SOLO ROMETTA CON LE PICCOLE

Il dna dei campioni, di una squadra potenzialmente in grado di vincere delle competizioni porta con sé un cromosoma che ne determina i successi: la mentalità vincente. Si dice, spesso, che le cartine tornasole di una compagine in grado di fare la differenza rispetto alle altre sono i risultati che riesce a collezionare con le piccole, quando gli stimoli sono pochi e la fame di vittoria di chi cerca un risultato di prestigio certamente superiore. La pecca del campionato, comunque ottimo della Roma, sta in questo: crolli improvvisi quando si affrontano squadre di media o bassa classifica. E' successo, spesso in Toscana, dove la Roma ha raccolto due pareggi con Empoli e Livorno, è capitato in casa con il Napoli, in un pirotecnico 4-4, ma anche a Torino i giallorossi non sono riusciti a imporsi.I punti persi, in totale, in queste gare sono otto, come le lunghezze di distacco da quell'Inter che solo una settimana fa sembrava raggiungibile e che, improvvisamente, è tornata a essere un puntino lontano all'orizzonte. Ad inquadrare perfettamente la situazione della Roma è stato lo stesso Luciano Spalletti che ha ridimensionato, pubblicamente, sogni e ambizioni giallorosse. Secondo il tecnico la squadra non avrebbe ancora acquisito quella mentalità vincente che contraddistingue le grandissime di ogni campionato. L'ulteriore banco di prova arriva a pennello: con la Reggina bisognerà invertire questa tendenza.

03/02/08

PUNTI DI VISTA AZZURRI

Qualcuno, forse, si aspettava altri nomi, o meglio, scelte diverse in virtù di quello che sta esprimendo il campionato e, invece, Roberto Donadoni è sembrato, anche questa volta, andare controcorrente rispetto alle indicazioni delle ultime giornate. Per meritarsi l'azzurro, è vero, occorrono più che un paio di prestazioni positive con la propria maglia, ma il ct, in questa circostanza, se da una parte ha premiato la stagione, eccellente, di Marco Borriello, ha ancora glissato sulla rinascita di Antonio Cassano e su un Alex Del Piero in netta crescita. Non ci saranno dunque, insieme al confermatissimo Di Natale, i due fantasisti che avrebbero contribuito ad accrescere il tasso qualitativo dell'Italia nella sfida con il Portogallo, ma che sarebbero risultati meno utili e duttili di un Raffaele Palladino, ipotetico quarto uomo di centrocampo. Imprescindibile, invece, il "bavarese" Luca Toni, mentre Quagliarella godrà di una nuova chance in azzurro. Tra gli altri, torna Grosso in difesa, mentre a centrocampo Donadoni punta, oltre che sui collaudati Ambrosini, Pirlo, Gattuso e De Rossi, anche su Aquilani rientrato da poco dall'infortunio. La sorpresa sembra Semioli, già titolare con il ct nella gara di qualificazione a Euro 2008 in terra di Francia. Con Buffon alle prese con l'infortunio, Amelia e De Sanctis si giocheranno una maglia da titolare, per buona pace di Toldo che voci avevano ipotizzato nuovamente in azzurro.

LAVEZZI, PIU' LO MANDI GIU'...

Scomodare paragoni illustri non è il caso, ma parlare di un nuovo idolo pronto ad infiammare le folle sotto il Vesuvio sembra il modo più adeguato per celebrare le prodezze di Ezequiel Lavezzi, presentato come nuovo Maradona, travolgente nelle sue prime apparizioni con la maglia azzurra, messo nel dimenticatoio a causa di 76 lunghissimi giorni d'astinenza dal gol, giudice unico e implacabile pronto a benedire nuovi campioni o a bocciare come flop acquisti costosi e azzardati. Qualcuno vorrebbe dei gol in più dal "loco" di Rosario per assurgere a quel ruolo di trascinatore che il blasone passato e potenzialmente futuro del Napoli richiede. Non è così perché la formazione di Reja si è aggrappata al suo fenomeno. L'argentino, come ogni genio calcistico, si è caricato la squadra sulle spalle nel momento del bisogno: la standing ovation riservata dal pubblico del San Paolo al suo talento più puro, la dice lunga sull'importanza di questo calciatore per il destino partenopeo. E pensare che, per un attimo, Lavezzi aveva detto basta con il calcio giocato preferendo lavorare come elettricista con i fratelli. E invece la "scossa" se l'è portata dietro, nel suo dribbling esplosivo, nei guizzi che lasciano immobili gli avversari. I gol, quelli, forse, arriveranno con il tempo in maniera più continua. In fondo a 22 anni si può ancora migliorare, ma a Napoli, città e squadra, senza volere per forza rivivere il mito del Diego che fu, per il momento può anche bastare.

02/02/08

MANO DE DIOS, NESSUN PENTIMENTO

Aveva fatto certamente scalpore la "conversione" per un gesto mai ripudiato e di cui è sempre andato orgoglioso. Una confessione fasulla, o meglio, la cui traduzione è stata interpretata a uso, consumo e piacere della stampa inglese nel tentativo di redimere dal peccato Diego Armando Maradona e di far emergere la verità come torto subito dall'Inghilterra. E invece il pentimento non c'è stato, colpa di una traduzione poco rispondente alla realtà delle dichiarazioni e che ha fatto infuriare l'ex Pibe de Oro il quale ha affermato a una radio argentina come il contenuto dell'intervista pubblicata sul "Sun" sia stato travisato. La versione definitiva sulla "Mano de Dios", il gol così ribattezzato perché segnato da Maradona che beffò Shilton con la mano durante i quarti di finale a Messico '86 nella gara che vide la sconfitta dell'Inghilterra per 2-1 da parte della nazionale albiceleste, è stata data.Maradona avrebbe dichiarato soltanto come non si potesse cambiare il corso degli eventi ormai passati, ma mai avrebbe ripudiato quel gesto diventato così celebre nella storia del calcio. Dunque, nessuna scusa pubblica da parte dell'ex stella argentina, la "Mano de Dios" ha preservato il suo fascino vissuto per oltre vent'anni tra sberleffo, furbizia e, soprattutto, rancore britannico.