15/02/08

ACCECANTE E CARNEFICE, SEMPRE SPORT

Catalizzatore di successi, volano per una vita agiata garantita da sponsor e lauti ingaggi. Le luci della ribalta addosso consentono di vivere al caldo in un mondo, per molti, costituito dal gelido squallore della vita quotidiana. Le stesse luci, così fiammanti, rischiano però di bruciare quanto di buono costruito e quando si spengono non possono, a volte, che lasciare cenere, quella cenere da cui qualcuno è rinato e che in molti, invece, hanno utilizzato come materiale per seppellire la propria storia. Le vicende umane e sportive di Agostino Di Bartolomei, quella di Florence Joyner Griffith passando per Eddie Griffin fino a giungere a Myke Tyson o Diego Armando Maradona testimoniano come lo sport possa presto tramutarsi da un momento di affermazione a carnefice. E' stato così per Pantani, di cui in questi giorni si ricorda la tragica fine, a cui molte storie sono simili e diverse, dal finale drammatico alcune, dalla conclusione felice altre. Agostino Di Bartolomei è stato la bandiera della Roma per lunghi anni, a quella maglia aveva dedicato la vita fino a quando, l'allora società giallorossa, fu costretta a venderlo al Milan per risanare le casse della società: una carriera conclusa nel 1990 con la maglia del modesto Cesena. E proprio quando il calcio si era dimenticato di lui, uno sparo lo riportò alla ribalta delle cronache: il 30 maggio 1994 Di Bartolomei si puntò una pistola al cuore e abbandonato dagli ex compagni scrisse la sua fine: "Mi sento chiuso in un buco".Una botola nella quale cadde, in altro modo, Florence Joyner Griffith, la Marilyn Monroe nera, dea delle piste. La donna capace di correre i 100 metri in 47 passi e mezzo con un tempo ancora insuperabile di 10"49, ripudiata dal suo sport, accusata di abuso di sostanze illecite e "costretta" a ritirarsi dopo i giochi di Seul a soli 29 anni. Dopo lo scandalo Ben Johnson e l'ipotesi circa tracce di doping in relazione alla velocista americana, il Cio le avrebbe intimato di abbandonare la scena. Un'ipotesi che si verificò con l'addio di Jo-Flo alle corse, così inspiegabile come la morte che la colse a soli 38 anni nel sonno, soffocata dall'epilessia per molti, una fine discussa da troppi. Vita tormentata, quella del cestista statunitense, Eddie Griffin, talento puro e cristallino, incapace di gestire fama e successo. Esistenza spesa tra cliniche e allenamenti saltati, alcol e droga che gli sono costati la tragica fine in un incidente stradale a soli 25 anni accecato, a dordo del suo Suv, dalla luce di una stella che doveva presto tramontare.Non è finito nell'oscurità delle tenebre, invece, Salvatore Antibo, fondista italiano che infiammò, tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90, le platee azzurre dell'atletica. Fisico asciutto, un keniota bianco quanto a resistenza sulla lunga di stanza. Il Totò che esaltava il pubblico d'Italia e che a Seul riuscì a conquistare uno storico argento nei 10.000 smise per una grave forma di epilessia che lo colse proprio durante la finale dei mondiali a Tokyo nel 1991. Ora il mitico Antibo è pensionato dello Sport grazie a un vitalizio accordatogli dal Coni molti anni dopo, e che lenisce solo un po' le ferite che l'atletica gli ha procurato, infischiandosi per anni della sorte di uno dei suoi figli prediletti.Drammi sportivi che riportano alla crudezza dello sport, così cinico, nel quale la forza per risollevarsi deve venire da chi è stesso protagonista. Lo sport, a volte, uccide, ma attraverso esso si può cercare la rinascita. E' stato così per Jennifer Capriati, baby prodigio del tennis mondiale, già nel circuito Wta a 13 anni e 11 mesi. Troppo piccola per non essere stritolata dai meccanismi che regolano il mondo del bussiness, rubata alla gioventù, finita nella droga e nell'abbandono al tennis, lo stesso che l'ha segnata profondamente nel male prima, nel bene poi quando, nel 1999, la vittoria a Strasburgo segnerà l'inizio di una seconda carriera, di una risalita difficile, conclusa nel 2005, senza rimpianti e con immensa soddisfazione. Di risalite ce ne sono state tante, ma come non ripercorrere la storia di Nancy Kerrigan, pattinatrice americana, aggraziata e affascinante, ricordata non solo per i successi ottenuti, tanti, tra Olimpiadi e mondiali, ma soprattutto per la vicenda che visse il 6 gennaio 1994 quando fu aggredita per conto di Tonya Harding, rivale per le imminenti Olimpiadi di Lillehammer. Gambe spezzate, carriera in dubbio, giochi certamente a cui non avrebbe dovuto partecipare non potendo essere in gara ai campionati nazionali. E invece la federazione statunitense fece uno strappo alla regola concedendogli il posto olimpico, ripagato con un argento che ebbe un sapore molto più dolce di una vittoria.Lieto fine, drammi sportivi ce ne sono a iosa nella storia recente. Campioni caduti, talenti dispersi, atleti che hanno saputo trovare la via d'uscita. Storie di sport molto simili alle vicende della vita quotidiana vissuta tra gioie e dolori che rendono un po' più umani gli acclamati Superman, non del tutto invincibili, pronti a fare i conti con la loro criptonite.

Nessun commento: