18/01/11

Che fine hanno fatto? Ambrosetti, dalla fascia al corridoio

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Saltava gli avversari come birilli, puntava la porta e tirava con un sinistro velenoso che non lasciava scampo con quella parabola così maligna e perfetta. Oggi Gabriele Ambrosetti non è più quel ragazzaccio che non ebbe paura di sfidare i più grandi nella massima serie con la "matricola" Vicenza. L'ex ala biancorossa è passato dalla fascia al corrdoio, dal mondo dei sogni alla realtà della vita quotidiana dove saper giocare al calcio conta relativamente e il lavoro richiede studio, passione e dedizione. A Gallarate il distinto Gabriele è consulente immobiliare presso l'agenzia "Riga": un ufficio elegante e sobrio, un look alla moda, capello biondo sistemato e modi di fare gentili. "Il calcio? No, non mi manca. Ho pensato di smettere relativamente giovane, prima che gli altri mi facessero capire che non era il caso di continuare".


Le ultime due stagioni agonistiche di Ambrosetti sono state alla Fulgorcardano in Promozione dopo anni di professionismo divisi tra Varese, Brescia, Venezia, Vicenza, Piacenza, Chelsea e Prop Patria. La sua nuova vita da lavoratore "normale" è iniziata da ormai cinque anni, da quando grazie all'invito di amici ha intrapreso questa professione: "Un mondo che richiede tanto studio, molta pazienza e grandissimo impegno - spiega - D'altronde devo recuperare il tempo perso, prima ho fatto solo il calciatore e ora mi accorgo quali sono le problematiche delle persone".

Eppure la passione per il calcio è rimasta radicata dentro e a volte i ricordi ripiombano alla mente: "Non amo molto parlare del mio passato, non mi piace essere riconosciuto dalla gente, a volte a chi mi chiede se sono io l'ex calciatore dico che si sbagliano - ha precisato - Non rinnego il calcio per tutto quello che mi ha dato, ma sono fatto così, mi piace vedere le partite dal 1' al 90' poi spengo la tv, quello che c'è attorno non conta".

Quando arrivò a Londra, al Chelsea si aspettavano tutti il nuovo Ryan Giggs. Così lo aveva definito Gianluca Vialli, manager dei Blues, quando lo acquistò dopo quattro anni straordinari passati al Vicenza, sua seconda casa dopo l'amata Varese. Quel paragone pesò a tal punto che Gabriele Ambrosetti non seppe ripetere in Premier League quanto di buono mostrato in Serie A. "A Londra ho vissuto un'esperienza bellissima sotto il profilo umano, avevo dei grandi campioni davanti e non riuscivo ad esprimermi al meglio, ma quel gol in Champions con il Galatasaray fu una liberazione". Eppure il momento più intenso della carriera fu l'esordio tra i professionisti con il Varese e la vittoria più bella quella in Coppa Italia con il Vicenza, nel 3-0 al Napoli nella stagione 1996-97: "Quel gruppo era fantastico, Viviani, Di Carlo, Brivio finimmo a festeggiare la Coppa in città giocando a pallone per le strade".

L'hobby degli ultimi anni è una scommessa nata per caso, un invito di un amico accettato per gioco che ha finito per diventare impresa: "Ho corso la maratona di New York, mi sono allenato duramente, avevo giurato di arrivare a Central Park e di buttare via le mie scarpe". E invece: "Invece è stata un'emozione così grande che tornerò". D'altronde resta da battere il personale di 4h11'21". Ma prima gambe sotto la scrivania, c'è una vita reale che va vissuta.

Iniesta e Xavi, o la bocciatura dei registi di scuola-Barça

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Passano, verticalizzano, passano ancora. In fondo i centrocampisti del Barcellona sembra non facciano nulla di particolarmente difficile. Eppure sono riconoscibili tra mille. Le capacità della Masia, il settore giovanile blaugrana, di creare talenti sono ormai note e riconosciute, ma nello specifico, ciò che dà maggiore valore al lavoro degli uomini che fanno capo a Guillermo Amor, responsabile della cantera, è la specializzazione nel formare centrocampisti dalle doti tecnico-tattiche veramente elevate.


Negli ultimi 20 anni si contano almeno una quindicina di giocatori di questo tipo, di livello mondiale, che hanno avuto a che fare con l’ambiente Barça. Il Pallone d'Oro sfiorato da Andres Iniesta e da Xavi è soltanto la logica conseguenza di una lunga tradizione che avrebbe meritato di essere consacrata. Una sorta di evoluzione in stile Darwin del "centrocampismo" blaugrana che ha portato a formare i registi moderni tra cui i migliori in assoluto sono appunto i due campioni del mondo. Il loro allenatore non a caso è Pep Guardiola, altro "numero 4" per eccellenza: non l’inventore dello stile dei centrocampisti del club catalano, ma assolutamente il simbolo della tradizione.

Ogni bambino che passa per "La Masia" cerca di assomigliare al suo giocatore preferito. E' stato così che Luis Milla (al Camp Nou dal 1984 al 1990) ha fatto "nascere" Guardiola e da lui hanno imparato Arteta (ora all'Everton), Fabregas (all'Arsenal) e gli stessi Busquets, Iniesta e Xavi. Nel mezzo tanti altri che hanno consolidato l'uso: Albert Celades, Ivan De La Pena (con un passato sfortunato alla Lazio), Gerard, Luis Garcia, Gabri, Thiago Motta (idolo dei tifosi dell'Inter) fino a Thiago Alcantara, già esordiente nella Liga e in Champions, a cui spetta l'onore e l'onere di dare continuità ad una specie da proteggere e che, per fortuna, non è in via d'estinzione.

Il punto di forza dei centrocampisti del Barcellona è che da piccoli apprendono e accettano di giocare per gli altri. Una filosofia che non prevede duelli fisici anche perché gli avversari non vedono mai la palla. Forza e rapidità mentale prima che potenza e prestanza fisica. In 20 anni di centrocampisti sono soltanto tre quelli che superano il metro e settantasette d'altezza, Gerard, Guardiola e Busquets, guarda caso i più atipici. Gli altri sono tutti dei "piccoli mostri" che altrimenti non avrebbero potuto ripetere gli stessi movimenti, avere la stessa rapidità d'esecuzione ed effettuare cambi di direzione repentini.

In fin dei conti lo stile dei centrocampisti del Barça è facilmente riassumibile nella sostanza e nel risultato: tocchi di palla rapidi, scappare dalla marcatura, uno-due, ritmo, chiamare il compagno, io ti aiuto, io ti cerco, torno indietro, alzo la testa, apro gli spazi...vinco (quasi) il Pallone d'Oro.