16/11/10

Pastore-Di Natale, gemelli diversi

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Quasi senza aspettarselo ha incassato i complimenti niente di meno che da Leo Messi in persona, da uno dei giocatori più forti al mondo, stella incontrastata del calcio argentino e del Barcellona. La pulce ha conosciuto il Flaco solo in Nazionale, agli ultimi Mondiali dove ne ha potuto ammirare le doti. Quando giocava all'Huracan Pastore era una delle tanti giovani promesse, un enganche, come dicono in Argentina, un talento di quelli spesso troppo presto promossi al ruolo di campioni o eredi di questo o di quell'altro fuoriclasse e troppo spesso bruciati da responsabilità e paragoni.

Pastore no, gli sprazzi di classe li aveva mostrati già nella passata stagione a Palermo, mancava quella continuità data dalla perfetta integrazione nel calcio italiano. Doveva capire il meccanismo prima di dettare la sua leadership in campo. Per tutti un po' Zidane, un po' Kakà, per i tifosi del Palermo solo Pastore "lo smilzo", questo seignifica el flaco in italiano. La falcata di una gazzella, l'eleganza di una tigre e la rapacità di un'aquila come quella disegnata sul simbolo dei rosanero.

I tre gol al Catania nella sfida più importante in terra sicula hanno soltanto contribuito ad aumentare la popolarità e la quotazione di un calciatore che, dispiace doverlo dire per i tifosi palermitani, è destinato nel giro di un paio d'anni ad emigrare verso altri lidi. Barcellona, Milan, Real Madrid, Manchester United, tutte le grandi d'Europa vorrebbero averlo in squadra eppure lui, forte intanto dei sette gol in campionato, ha deciso di voler lasciare prima il segno a Palermo.

A Delio Rossi va il merito di averlo spostato qualche metro più in avanti, dietro la punta, senza imbrigliarlo nelle strette marcature che spesso gli avversari riservano ai trequartisti. Per questo è diventato più decisivo anche in zona gol e non soltanto come assist-man. Nella scorsa giornata è stato il mattatore nel derby, un mattatore che ha diviso il trono con un altro giocatore che infiamma la piazza, quella di Udine e che avrebbe, se lo avesse voluto, potuto scegliere ancora il bianconero, ma quello della Juventus.

Antonio Di Natale è stato il trascinatore della squadra di Guidolin quando un mese e mezzo fa i friulani erano ultimi in classifica e tanti avrebero rinfacciato a Totò l'errore di non essere andato alla Juve. E invece, da buon napoletano, Di Natale ha scommesso su se stesso e, per il momento, scongiuri possibili, sta avendo ragione.

Cinque gol in campionato, due in meno di Pastore, ma per la sua squadra una risalita imponente e il settimo posto, guarda caso, proprio a pari punti con il Palermo. La delusione del Mondiale sudafricano sembra lontana, la Nazionale ormai è un'esperienza passata perché a 32 anni è giusto concentrarsi su un finale di carriera che può regalare ancora qualche piccola soddisfazione. Tra Antonio Di Natale e Javier Pastore ci passano 12 anni, ma il tasso di qualità calcistica è più o meno equivalente. La differenza però sta tutta nel tempo, quello che il Flaco ha davanti a sé e che Totò si è inevitabilmente lasciato alle spalle.

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