16/08/08

CARO BARONE...CHIEDIAMO VENIA

Eppure le avvisaglie c'erano state, biscotto o no, la gara contro il Camerun aveva denotato ciò a cui l'Italia del calcio sarebbe andata incontro: una sconfitta senza gloria e con poco onore. Spocchia, superficialità, tratti di presunzione manifestati dal non saper chiudere un match, contro il Belgio, che più in discesa di come si era messo non si poteva. Vantaggio nel punteggio, numerico e psicologico, patrimonio troppo prezioso per essere sprecato nel modo più assurdo. Una punizione, se vogliamo, anche giusta, giudizio lungi dal moralismo (non sarebbe il caso rispetto a cotanta evidenza fattuale) che spesso e volentieri si cerca per giustifcare magagne e mancanze. Si è meritato di perdere, per quanto fatto nella gara precedente, perché l'abitudine a vincere non è mai troppa; per quel che si è visto in una partita in cui l'umiltà, più che il carattere e la tecnica, avrebbe portato al passaggio, tranquillo, del turno. Non è stato così, le doti cantate a quelli che saranno i protagonisti del nostro calcio presente e futuro, azzurro e non, stonano, stridono, con gli acuti cercati e non trovati dai nostri solisti, con la disarmonia manifestata da una difesa tanto, troppo distratta al cospetto del pur bravo Mirallas. Il direttore d'orchestra (Montolivo) ha sbagliato clamorosamente partitura, Nocerino non può cantare e portare la croce. Gli isterismi, Viviano su tutti, potevano essere evitati, d'altronde mancavano ancora 10' abbondanti e con l'uomo in più tutto poteva succedere: peccati di gioventù direbbe qualcuno, banalità abusata per giustificare la prestazione di questi calciatori molto più fortunati dei rispettivi colleghi belgi. Lo spirito olimpico ha, ancora una volta, colpito, indirizzato la mente a una profonda riflessione: la vittoria si costruisce dalle basi, in ogni gara, in tutte le singole partite, con il massimo impegno e alla fine, caro Petrucci, lei ci insegna, che anche se si è andati per vincere e si è tornati sconfitti, si è partecipato, a testa alta, allora avremmo meritato la 'medaglia Pierre de Coubertin', quella che ci avrebbe lasciato col cuore sereno, con la coscienza tranquilla, senza troppi rimpianti.

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